Nell’ormai remoto febbraio del 2011, a poco più di quattro mesi dalla triste fine dell’amministrazione Valvo, il Ministero per l’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ammetteva a finanziamento il progetto di “bike sharing e fonti rinnovabili” presentato dal Comune di Noto. Il finanziamento copriva con 377.440,00 euro, l’80% delle voci principali di spesa (alcune escluse) che, nel totale, ammontavano a 566.160,00 euro. Finanziamenti esterni per un progetto comunale. Benissimo, ma c’è da giurarci che il netino medio neanche sappia cosa sia il “bike sharing”. L’intento del Ministero era di agevolare una mobilità più sostenibile basata su mezzi non inquinanti, in particolare normali bici e bici elettriche “a pedalata assistita” e, nel contempo, utilizzare per tali usi fonti di energia alternative, come, ad esempio il fotovoltaico. Con “bike sharing” si intende più o meno “condivisione di biciclette”, nel senso che per la mobilità urbana o extra urbana, una comunità di utenti, siano essi cittadini o turisti, si avvale dell’uso di bici non di sua proprietà, bensì, in qualche modo, “condivise” con altri. Ricordiamo che, a seconda del tipo di percorso affrontato, con una carica del costo inferiore a 0,20 euro, una bici “a pedalata assistita” gode di un’autonomia che va dai 30 ai 70 km. Un mezzo di spostamento decisamente conveniente, ma che necessita però di uno specifico e costoso sistema di gestione.
Accenniamo soltanto al fatto che il centro abitato di Noto, per la sua particolare conformazione altimetrica, mal si presta ad una mobilità in bici. A maggior ragione, per un turista, si aggiunge il fatto che il centro storico ed annessi, hanno una dimensione tale che la migliore mobilità auspicabile è quella da semplice pedone. Discorso drasticamente differente, invece, vale per la mobilità turistica verso i numerosi poli di attrazione del nostro vasto territorio. In effetti, nelle intenzioni ministeriali, era anche contemplato l’uso di piste ciclabili, che a Noto però costituiscono un altro dei grandi capitoli delle incompiute per cui sull’argomento, con garbata leggerezza, glissiamo. Resta che il progetto originario, risulta maggiormente orientato verso una mobilità in bici cittadina (33 colonnine di sosta/ricarica in 4 postazioni) e poco nel territorio (soltanto 15 tra Lido di Noto e Calabernardo). Un totale di 6 postazioni (di cui tre con installazioni fotovoltaiche), con 42 bici “a pedalata assistita” per complessivi €.421.700,00 al netto di IVA, di cui l’80% coperto dal finanziamento.
Riprendiamo il fiato, abbiamo continuato a parlare di “bike sharing” e magari ci sentiamo di dire la nostra sulla dubbia utilità e convenienza economica di impiantare questo servizio dentro Noto e tra Noto, Lido e Calabernardo. Ma ci sfuggono alcuni “dettagli” per nulla secondari. Mi viene, infatti, di pensare ad uno dei fondamenti dell’arte della prestidigitazione, secondo cui occorre attirare l’attenzione dello spettatore su quella che sembra l’azione principale, mentre, cosa non meno importante, si deve contemporaneamente distogliere l’attenzione dalle operazioni preparatorie ed essenziali per i successivi numeri. E così fece la precedente amministrazione, distraendoci con decine e decine di biciclette semi-ecologiche. Ma il piatto forte era ben altro. C’erano i 188.720,00 euro a proprio carico per la realizzazione del progetto e poi occorreva pure gestire il sistema di bici e colonnine. Mumble, mumble … trovato! Prendiamo due, anzi tre, piccioni con una fava: associamo ai lavori per 421.700,00 euro del “bike sharing”, in un unico appalto, ben tre gestioni per 7 anni consecutivi:
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la prima, ovviamente, quella delle 42 bici e delle 6 postazioni per 10 ore al giorno, 6 giorni su 7;
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la seconda, quella di un non meglio definito “trenino turistico” di almeno 50 posti con servizio da aprile a settembre e percorso dal centro storico a Noto marina;
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la terza, quella della sosta dei bus turistici nell’area del Palatucci, in contrada Zupparda (compreso un servizio navetta per l’annuale Infiorata).
Il tutto non a costo zero, ma con un lauto guadagno per le casse comunali. Il gestore avrebbe dovuto versare al Comune, nei previsti 7 anni di affidamento, una somma complessiva di €. 752.052,72 più l’offerta migliorativa avanzata per l’aggiudicazione. Nel nostro caso, la gara svoltasi nel luglio del 2011 (cioè agli inizi di questa amministrazione) fu vinta dalla CITY SYSTEM SOC. COOPERATIVA di Siracusa, con un rialzo del 2%, per cui la gestione delle soste avrebbe comportato al Comune un’allettante entrata media annua di circa 109.000 euro per sette anni consecutivi. Nelle previsioni dell’affidatario, il servizio avrebbe dovuto produrre anche un reddito ulteriore per pagare le spese di gestione e, perché no, per ottenere anche un legittimo utile. A garantire la sana gestione economica vi era il tariffario imposto agli utenti: 10 euro al giorno per le bici, 50 euro al giorno per i bus turistici e da 3 a 5 euro a corsa per il fantomatico “trenino”. Chiaramente, le specifiche entrate previste dipendono essenzialmente dalle presenze turistiche e, quindi, per almeno 6 mesi l’anno, si può considerare questo apporto irrilevante. In pratica per i sei mesi “buoni” ci si deve augurare, mediamente, una entrata di almeno 15.000 euro al mese solo per compensare il Comune e di altri 10.000 euro per coprire il resto (personale, trenino, manutenzioni, ecc.), senza rimetterci le penne. In altre parole, quasi 1.000 euro a giorno-utile: Un’apparente follia se convertiti, ad esempio, in equivalenti 200 bus turistici al giorno. Eppure la gara c’è stata e, con un’unica offerta, si è individuato, come già detto, il vincitore.
Non perdiamo di vista, anche se nella veste di pubblico pagante, che nel valore dell’appalto il “bike sharing” incide per poco più di 1/3, il resto è gestione. Eppure l’attenzione, anche dei media, è stata ed è rimasta concentrata sulle bici semi-ecologiche. Sembrava che tutto volgesse come previsto, ma nel novembre del 2011, questa amministrazione, valutando un improprio uso dell’area del Palatucci per la sosta dei bus, decide di procedere alla revoca ed all’annullamento degli atti di gara e del contratto di appalto. L’annullamento di un contratto di tale entità, se non giustificato da gravi irregolarità riscontrate, espone l’amministrazione al rischio di indennizzi non irrilevanti. Non può quindi essere un semplice capriccio del tipo “come ti ho fatto ti disfo”, ma deve essere un atto supportato da inoppugnabili motivazioni. Cosa che non si desume da quanto reso pubblico. A meno che … a meno che la stessa ditta non si sia dimostrata propensa per la chiusura della partita. Da quel novembre del 2011, in effetti, si ha notizia solo di un’azione legale intentata, agli inizi di quest’anno, contro il Comune dal progettista dell’intervento di “bike sharing”. Nessuna notizia dal fronte della ditta affidataria, tranne che la tardiva registrazione del contratto nel giugno del 2012. Di sicuro, dobbiamo presumere, che il deliberato annullamento del contratto non ha avuto un seguito, perché a marzo del 2013, dalle ceneri e dall’oblio, risorge l’appalto fino a quel momento accantonato. La procedura di “resurrezione” mostra, però, alcuni punti critici. Coerentemente alla strategia prestidigito-amministrativa, da tutti fino ad ora adottata, si parla oggi di una perizia di variante ai lavori del bike-sharing, salvo citare incidentalmente alcune “insignificanti” variazioni che interessano il servizio di gestione. Agli inizi del corrente mese di giugno, l’amministrazione approva pertanto questa variante al progetto finanziato dal Ministero, riducendolo dagli originari 421.700 euro ai nuovi 277.100 euro. Una riduzione di quasi 145.000 euro che si traduce nell’eliminazione di due postazioni e di due installazioni fotovoltaiche, nonché nella eliminazione di alcune prescrizioni gestionali riguardanti il monitoraggio del servizio. Naturalmente, la perizia con la riduzione di importo dell’intervento, ha comportato anche una riduzione di circa 115.000 euro del finanziamento ministeriale, una riduzione di circa 40.000 euro della quota a carico del Comune e un lieve aumento dell’onorario del progettista, di cui si è evidentemente “recuperato” il rapporto di fiducia.
Sì, ma qualcuno si chiederà che fine ha fatto il “malloppone” da 767 mila euro del servizio di gestione associato nell’appalto già affidato? Spulciando tra le righe degli allegati e non tra i titoli, compreso un intrigante, quanto sintetico, “atto di sottomissione” dal titolo sbadatamente fuorviante, si scopre che i “piccioni” precedentemente individuati, si sono ridotti da tre a due, e che bus e trenino sono stati soppiantati da sei anni e mezzo di gestione di 150 posti auto a pagamento nel centro storico, inizialmente a 0,80 euro l’ora, integrati da 10 euro per ogni sanzione applicata e effettivamente incassata. Quindi, sfumato il pieno impiego dell’area del Palatucci, permane il suo sottoutilizzo una volta ogni due settimane, per massimo nove mesi l’anno, in trepidante attesa della promessa ristrutturazione e reimpiego del diroccato edificio comunale ricadente nella stessa area, affidato a privati diversi anni or sono.
Il tutto, comunque, per ben 702.000 euro (65 mila in meno della precedente previsione) che equivalgono, vi risparmio i precedenti passaggi e le annesse considerazioni, a non meno di 900 euro a giorno utile nei famosi sei mesi “buoni”. Questo equivale a scommettere che, al netto di possibili entrate dal servizio di “bike sharing” e di quote sulle sanzioni, i 150 stalli vengano tutti occupati , per sei mesi, sei giorni su sette, per almeno 6 ore sulle 11 giornaliere. Una bella scommessa, non c’è che dire, di certo più verosimile di quella originaria basata sui bus turistici, ma comunque un azzardo. E poi, anche una bella posta attiva da inserire nel bilancio annuale. E se la ditta questa scommessa dovesse perderla e non trovarsi in grado di versare al comune quanto ottimisticamente pattuito? Quali garanzie e controlli efficaci contro un improbabile, ma non impossibile, “prendi la cassa e fuggi” in perfetto stile Novamusa? Questo dalle carte rese pubbliche non si desume chiaramente (si parla solo di una fidejussione del 10% sull’importo appaltato). Resta il fatto che un appalto originariamente definito in un modo, oggi per il 70% del totale è diventato “in corso d’opera” tutt’altra cosa. Leggi permettendo?
Creatività e prestidigitazione. Se questa non è arte .
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