Fu attraverso la lettura de “Il Tempo degli Assassini”, un saggio di Henry Miller su Arthur Rimbaud, che venni a contattoe feci conoscenza di Rimbaud, con un poeta che mi sorprese e mi sconvolse per avere scritto le sue opere dai quindici ai diciannove anni, un’opera che rivoluzionò la poesia e l’arte, per poi abbandonarla, cambiando completamente la sua vita.
Dopo avere letto le sue raccolte di poesie, divenne un amore poetico a prima lettura, e cominciai a scrivere i suoi versi sui muri, a casa di amici o sui muri dove abitavo.
Un giorno a Catania, dopo avere conosciuto dei giovani, che avevano il mio stesso interesse per la poesia di Rimbaud, – erano i primi giorni di Marzo del 1975 – presi lo zaino e partii con il treno per Charleville Mezieres, nelle Ardenne, perandare a visitare i luoghi dove “l’enfant prodige” era nato il 20 Ottobre del 1854.
Charleville è una Città che ha un centro storico medievale, dallo stile Gotico, dove stetti tre giorni in cui visitai una delle sue abitazioni in una delle vie principali della Città, dove era nato, poi visitai il Museo dove erano esposti gli oggetti che aveva portato dal tragico viaggio dall’Africa, in particolare mi colpì la valigia e una coperta a strisce dai colori diversi, che era accanto alla valigia.
Fu la volta del fiume, la Mosa, che gli ispirò “Il Battello ebbro”, senza avere visto il mare, e ancora un’altra casa dove vi era una Libreria che portava il suo nome.
Seguì la visita al Cimitero della Città, dove è stato sepolto accanto al nonno e alla sorella Vitalie, morta a 17 anni.
Non riuscì a visitare Roche, la Fattoria di un Borgo, dove in un solaio Rimbaud scrisse “Una stagione all’Inferno”, perchèera un pò distante da Charleville.
Il padre era un ufficiale dell’esercito francese, che era sempre in missione nelle campagne di guerra in Africa, che, quando Arthur aveva sei anni, abbandonò la famiglia, e non si fece più vedere.
Fu la madre, Vitalie Cuif, una donna molto rigida di carattere, molto religiosa, che gestiva sia la casa che i suoi quattro figli, oltre ai terreni e le case di Roche, che dopo l’abbandono da parte del marito, dovette assumere anche il ruolo di padre, a cui non poteva assolvere per i troppi impegni di lavoro, si vestì subito di lutto, firmandosi “la vedova Rimbaud“.
Arthur era il primogenito, Frederich il secondo, Vitalie e Isabel.
Arthur visse in questo ambiente di rigidità familiare, ma anche nel contesto culturalmente provinciale e bigotto di Charleville, che detestava con tutto se stesso.
Frequentò il Collegio in Città, facendosi subito notare ed apprezzare per il suo entusiasmo verso la ricerca e gli studi, soprattutto per la sua sensibilità poetica, che gli permise di scrivere poesie sia in latino che in francese, partecipando a dei concorsi che si svolgevano nel suo Istituto scolastico, in cui veniva premiato con medaglie, diplomi e attestati, per i suoi componimenti poetici.
George Inzambard, un Insegnante di Retorica, lo prese subito in simpatia, ed oltre al programma scolastico, gli fece leggere dei libri impegnativi sotto l’aspetto delle idee culturali e politiche del tempo, a cominciare da Victor Hugo, di F. Rabelais, di T. de Banville, e dei Parnassiani, mettendogli a disposizione la sua Biblioteca e la sua casa, che conteneva libri che la Biblioteca Comunale di Charleville, non possedeva, Biblioteca Comunale, che Rimbaud frequentava da quando era ragazzino.
Poi lesse le opere di P. J. Proudhon, F. N. Babef, C. H. Saint Simon, lesse anche Opere di Occultismo.
Fu un’esplosione poetica la sua, che lo spinse a scrivere la prima raccolta di poesie dal tono sarcastico, blasfemo e distruttore, che inviava a delle Riviste letterarie, tra queste: “Un cuore sotto la tonaca“, “Il ballo della forca“, “Tartufo castigato“, “Il fabbro“, “Venere Anadiomene“, “I seduti“.
E’ sempre il contesto sia familiare che di Charleville ad opprimerlo, a questo si aggiunge nel Luglio del 1870 la guerra tra la Francia e la Prussia, che gli fece concludere il rapporto con la Scuola prima del tempo, infatti, da allora non si iscrisse più al successivo anno scolastico per poi prendere il Diploma.
Fu così che a quindici anni cominciarono le sue prime fughe da casa, iniziando a manifestare pubblicamente la sua ribellione, il suo anticonformismo e il suo anticlericalismo contro le istituzioni pubbliche.
Un’altra successiva fuga da Charleville, lo portò a Parigi, pagandosi il biglietto con i franchi della vendita dei suoi libri, lo condusse alla Comune di Parigi tra i Repubblicani, che combattevano contro il regime Monarchico.
Questa sua esperienza Comunarda dallo spirito rivoluzionario, da cui si aspettava un cambiamento della vita dell’uomo, lo deluse profondamente, pur dedicandogli alcune poesie, in cui omaggia la Comune, con “Canto di guerra parigino“, “L’orgia parigina, ovvero Parigi si ripopola“ e “Le mani di Jeanne Maria”, di quest’ultima si tratta di una donna popolana di cui esalta le gesta rivoluzionarie.
Dopo avere inviato delle poesie ai vari poeti e critici di Parigi, tra cui Verlaine, che a Parigi era un poeta molto stimato dai Parnassiani, e dopo avere scritto “La lettera del veggente” al poeta Paul Demeny, che è il Manifesto della sua poetica, in cui “il poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi“, e giunge all’ignoto, da dove riporta le sue visioni“.
“Le invenzioni d’ignoto richiedono forme nuove “, e una nuova lingua …”
Scrive “ll Battello ebbro” ed invitato da Verlaine a Parigi, lo introduce nel Circolo dei Parnassiani, dove ogni poeta leggeva le sue poesie, a cui Rimbaud espone apertamente la sua poetica, prima criticando tutta la poesia esistente, da cui era disgustato, poi criticando aspramente e a volte con toni di disprezzo e violenti le composizioni poetiche dei Parnassiani presenti, fino allo scontro verbale dissacratorio. Per Rimbaud, oltre ad affermare che “Io è un altro“, nel senso che il poeta contempla il molteplice in sè, la vita e la poesia non sono separate.
Tra Rimbaud e Verlaine nasce una comunione poetica, “una doppia cattura”, direbbe Deleuze, ma anche d’amore – erano entrambi bisessuali- che sconvolse la loro vita quotidiana, a parte il vino e la birra, che li rendeva spesso ubriachi,facevano anche uso di varie droghe, come l’assenzio, l’hashish e l’oppio, che contribuivano a fargli creare nuova poesia.
Cominciarono a viaggiare andando in Inghilterra, in Belgio e in Germania ripetute volte, vivendo in piccoli alberghi o stanze in affitto, in maniera molto precaria, fino a mettere in crisi il rapporto tra i due, ed arrivare a delle continue risse. Fu a Bruxelles, che Verlaine a causa dell’ennesima lite, in cui Rimbaud aveva deciso di abbandonarlo, in stato di ubriachezza, gli sparò due colpi di pistola ferendolo ad una mano, per cui venne arrestato, processato e condannato a due anni di carcere.
Rimbaud torna a Charleville a casa della Madre, per poi isolarsi nella Fattoria di Roche, in quella “terra dei lupi“, dove completerà “Una stagione all’inferno”, il “Libro Pagano” o “Libro Negro”, come lui stesso lo definiva, da cui “dipendeva il suo futuro”.
Un libro in cui descrive “l’Inferno cristallizzato dell’Occidente”, e “il Mito del buon selvaggio” di Rousseau, che ignora le leggi e i riti dei Padroni, che è il bilancio di una consapevolezza, ma anche di una confessione per un suo bisogno di attraversamento sia della vita passata che di se stesso, in cui “la vita è assente“ e di conseguenza bisogna “cambiare la vita“ ma anche “l’amore è da reinventare“.
Pubblica “Una stagione all’Inferno”, con un Editore Belga, che ne stampa cinquecento copie, ma gli da solo alcune copie, che invia ai critici e ai poeti vicini al suo sentire, il resto rimane all’Editore perchè non assolve i pagamenti. Le copie vengono ritrovati nel 1901 da un ricercatore di nome Lèon Losseau.
Prende il treno per Parigi, per incontrarsi con i vecchi amici poeti e critici, ma quell’ambiente culturalmente conservatore, venuto a conoscenza dei fatti di Bruxelles, respinge lui e la sua poesia.
Da quì nasce la delusione non solo per la poesia, ma soprattutto per la civiltà Europea!
Dopo nuovi viaggi e vagabondaggi in tutta Europa a piedi, in cui ha studiato lingue, a cominciare da quella tedesca, poi quella italiana, inglese, spagnola, e poi ancora l’ araba, “l’uomo dalle suole di vento“, così lo chiamava tra l’altro, Verlaine, che è colui che attraverso il camminare e continuo viaggiare “distrae gli incantesimi“ e quell’io impersonale, per una identità sempre nuova e fusionale alla poesia.
Completa “Le Illuminazioni“, che sono delle fresche immagini, che alimentano campi sensoriali diversi, quella via percorsa sempre da Rimbaud alla “ricerca di una nuova lingua“ per trovare “l’impossibile“, quell’ignoto di cui era sempre alla ricerca.
Una raccolta di poesie in prosa sulla scia dei piccoli poemi in prosa di Baudelaire.
Rimbaud si congeda dalla letteratura, abbandona la poesia, scrivendo in Alchimia del verbo: “Oggi so salutare la bellezza“.
Rinunciando alla poesia, viaggia per tutta l’Europa, attraversando l’Italia a piedi, visitò Como, Milano, Genova, Livorno, Siena, Roma.
Nel Novembre del 1878, si imbarcò per Alessandria d’Egitto, poi è a Cipro, per poi andare in Africa, ad Aden, dove si impiega in una Società che commercia Caffè, Spezie, Pellami, Cotone, Avorio, esplora territori, sempre per nuovi commerci, viaggia instancabilmente a cavallo, alla guida di improvvisate Carovane, anche per conto proprio in terre ignote governate tra pericolose tribù e predoni del Deserto, per vendere armi nello Yemen e in Etiopia.
Nel 1884, Verlaine pubblica un volumetto “I Poeti maledetti“ e “Le Illuminazioni“. Rimbaud ricevette delle lettere da parte di due Direttori di Riviste letterarie, che volevano collaborasse con delle poesie e articoli sull’Africa, ma lui nemmeno gli rispose.
Ad un suo caro amico che gli disse che a Parigi gruppi di letterati lo consideravano il capo della scuola Decadente e Simbolista, rispose che le sue Opere erano “scialacquature giovanili“.
In Rimbaud era già avvenuto il distacco dal poeta e dalla poesia, poi l’Africa, il Deserto, le lunghe spedizioni che duravano giorni, mesi, lo avranno sollecitato a decostruire il suo passato, liberandolo dai miti e dalle illusioni che aveva coltivato essendo “un ladro di fuoco“, pensando anche ad una esistenza tranquilla a Roche, in silenzio, meditando sulle proprie metamorfosi.
Nel 1891 ha i primi sintomi della sua malattia, si tratta di una cancrena al ginocchio destro, viene trasportato per tre giorni lungo il Deserto, per arrivare all’Ospedale di Marsiglia dove gli viene amputata la gamba.
Fa ritorno a Charleville insieme alla sorella Isabel che lo assiste, ma dopo alcune settimane ritorna all’Ospedale di Marsiglia per complicazioni della sua salute.
Si sente la morte addosso, desidera tanto vedere il sole, quel sole che si incontra sempre con il mare.
Muore il 10 Novembre del 1891, all’età di 37 anni, gridando Hallah, Hallah, Hallah!!
Paul Verlaine, scrisse che era “Al di fuori di ogni letteratura, e probabilmente al di sopra“
E Pier Paolo Pasolini, dopo averlo letto appena da ragazzo, disse: “La mia vita futura non sarà certo quella di un Professore universitario: ormai su di me c’è il segno di Rimbaud“.
Roberto Bellassai
Un articolo ben strutturato, con riferimento alla vita di Rimbaud, attraverso la quale emerge la sua essenza. Il contesto difficile che ha vissuto lo ha forgiato in tutta la sua esistenza, andando sempre in direzione ostinata e contraria…Ha condotto una vita tanto dissoluta, da poeta maledetto, quanto colma di sensibilità…
Si potrebbe dire che Rimbaud abbia denunciato l’ipocrisia del sistema Occidentale nei suoi vari aspetti, a cominciare dalla famiglia, dallo stato, dai governi, dalla religione, e soprattutto dall’arte, su cui aveva investito il suo talento e la sua vita.