In uno scenario politico nazionale tra il 1919 e il 1920, subito dopo la prima guerra mondiale 1915 / 1918, che comportò una forte crisi economica per l’Italia con conseguenti lotte politiche, scioperi, occupazione delle fabbriche del Nord e delle terre nel Sud del Bel Paese, in un periodo definito dagli storici il “biennio rosso”, che significava la forte avanzata del Partito Socialista in quasi tutte le Regioni d’Italia, furono 156 i seggi su 508, il 32,28% dei voti, per cui anche a Sud del Sud della Sicilia, a Noto si ebbero le lotte fatte dai contadini, dagli operai, dagli artigiani e dai braccianti, organizzati da Compagni Socialisti. come, ad esempio, dall’Anarchico Sindacalista Luigi Di Matteo, fondatore del Circolo Socialista, Andrea Costa e del Circolo del Libero Pensiero Giordano Bruno, Paolo Mirmina, Segretario della Lega dei Contadini, e altri compagni che avevano la sede nei locali della Piazzetta Immacolata, poi divenuta Piazzetta 3 Ottobre, dove si riunivano per discutere dei problemi politici riguardante il lavoro e le lotte contro il governo locale in carica, un Governo rappresentato dal Partito Democratico Liberale con a capo l’Avv.Corrado Sallicano, che fu Sindaco di Noto prima del fascismo, durante il fascismo, facendo il Podestà, e dopo il fascismo come Repubblicano. Per quasi un ventennio al potere della Città, in precedenza anche il Padre, l’Ing.Sallicano Sergio, aveva governato la Città di Noto a più riprese, infatti, fu eletto Sindaco per ben quattro volte.
Ed è partendo da questo quadro storico – politico che il libro di Enzo Papa entra come un bisturi nel corpo di una pagina della storia di Noto che per un secolo è rimasta nel buio, oscurata dall’oblio culturale e politico storicamente prevalente a Noto, dove ancora oggi viene data la Cittadinanza Onoraria a Duchi e a Principi e viene revocata a uno Scrittore e Giornalista come Corrado Stajano. Un libro dal titolo: “Nel nome dell’Italia”. Il delitto Mirmina, pubblicato nella Collana Storia e Politica della Casa Editrice Bonanno, 91 pagine, con una copertina bianca, in cui c’è una pistola in primo piano che, oltre ad essere l’arma del delitto Mirmina, è il simbolo di una accusa al potere economico e politico del tempo, ma anche alla società dormiente della Noto di ieri e di oggi che ha smarrito la “memoria storica”.
Enzo Papa, un Intellettuale poliedrico che spazia dal romanzo storico, al saggio letterario, dal traduttore, al critico d’arte, sempre attento alla realtà che indaga con metodo sciasciano, cioè con un metodo Illuminista, sui fatti avvenuti in questo caso a Noto nel 1920, nella Città che gli ha dato i natali, che in precedenza ha scritto sempre con lo stesso metodo, “La Città dei fratelli”, dove ha fatto luce narrando su ciò che accadde nel 1860 a Noto, nel periodo dell’Unità d’Italia.
In questo libro indaga sulle dinamiche della morte di Paolo Mirmina, di un Contadino Socialista e Sindacalista, che frequentava le idee e li metteva in pratica con il suo impegno politico difendendo le classi sociali più deboli che lavoravano nei feudi dei possidenti locali e dai proprietari terrieri della Città, come contadini, operai, artigiani, braccianti, per qualche lira, un piatto di minestra e un litro di vino, portando avanti attraverso il Partito Socialista, la Lega dei Contadini e la Camera del lavoro, le rivendicazioni proletarie e di classe, con le lotte politiche e gli scioperi, per la conquista della terra, la riduzione dell’orario di lavoro a otto ore giornaliere e gli aumenti salariali.
Qualche mese prima delle elezioni Comunali del Novembre 1920, durante la campagna elettorale, a un comizio dei Socialisti in cui doveva parlare l’On. Vincenzo Vacirca, deputato al Parlamento per il Partito Socialista Italiano, organizzato e voluto da Luigi DI Matteo, Paolo Mirmina e Vincenzo Salemi, appena ebbe inizio il comizio, un gruppo di delinquenti locali, abituali provocatori che sistematicamente disturbavano i comizi dei Socialisti, equivalenti ai fascisti, che si presume siano stati manovrati dai possidenti e dalla borghesia politica locale che temevano il comizio del Vacirca, di un politico che non aveva peli sulla lingua verso chi deteneva il potere, ed anche perchè in alcuni Paesi vicini avevano trionfato politicamente i Socialisti, per questo ed altro gli fu impedito di parlare, e nacquero subito dei tafferugli, vi furono provocazioni, volarono schiaffi, spintoni e, in quel contesto, con un colpo di pistola a bruciapelo, fu ucciso il Sindacalista Paolo Mirmina, sparato da parte di uno del gruppo capeggiato da Giuseppe Sgandurra, un maniscalco analfabeta, delinquente abituale.
Paolo Mirmina, prima di morire riuscì a urlare al Tenente dei Carabinieri, Lorenzo Romeo: “arristati Sgannurra ca m’ammazzau!”, fin quando stramazzò sugli ultimi scalini della Chiesa dell’Immacolata, gridando al tabaccaio, Salvatore Marziano e ai compagni che lo sorreggevano “Sgannurra m’ammazzau! “
L’on. Vincenzo Vacirca presentò una denuncia al Commissariato di Noto dove raccontava i fatti accaduti, dichiarazioni che coincidevano con il rapporto giudiziario del delitto firmato dal Tenente Romeo e dai Commissari Perez e Cultrera, in cui si indicava Giuseppe Sgandurra quale esecutore dell’omicidio Mirmina.
Il funerale partì dalla sede de La Camera del Lavoro, percorrendo il Corso Vitt. Emanuele, con a seguito molte persone, più varie delegazioni dei Paesi vicini fino a Piazza Nino Bixio, dove l’On. Vincenzo Vacirca e altri oratori, pronunciarono discorsi infuocati, accusando della morte di Paolo Mirmina, il capitalismo e la borghesia politica del luogo.
L’On. Gabriello Carnazza, Ministro dei Lavori pubblici con il Governo Mussolini, amico politico di Corrado Sallicano, presentò un Dossier presso la Corte D’Appello di Catania in cui ” stravolse” mistificando i fatti a difesa dei tre imputati, cioè di Giuseppe Sgandurra, Giuseppe Gallitto e Luciano Prato, mettendo a disposizione degli accusati un gruppo di Avvocati..
Il processo si concluse il 23 Marzo del 1922, con l’assoluzione di Giuseppe Sgandurra e Luciano Prato, e con la condanna per 14 mesi e quindici giorni per Giuseppe Gallitto, perchè era detentore della pistola.
Dalle ricerche e dalle indagini minuziose e attente basate sui fatti, documenti, atti, giornali del periodo storico, denunce, testimonianze, ma soprattutto con il lume della ragione, da parte di Enzo Papa viene fuori che ad uccidere il Sindacalista Paolo Mirmina sia stato Giuseppe Sgandurra con la complicità di Giuseppe Gallitto e che i mandanti del delitto siano stati coloro i quali detenevano il potere economico e politico.
Si può parlare di delitto di Stato? Di un delitto di Stato rimasto impunito!
Giuseppe Gallitto, dopo avere scontata la pena dei quattordici mesi e quindici giorni nel carcere di Siracusa, venne assunto dal Comune di Noto, con nomina provvisoria come copista all’Ufficio Idroelettrico, nomina che divenne definitiva dopo un anno, mentre Giuseppe Sgandurra fu assunto sempre alComune di Noto, come custode dell’acquedotto comunale. Era l’anno1924.
Il Ministro dei Lavori pubblici del Governo Mussolini, On.Gabriello Carnazza, l’autore del famoso Dossier, nel 1924 venne dimissionato dal suo Governo perché coinvolto nelle vicende dell’omicidio del Deputato Socialista Giacomo Matteotti.
Leonardo Sciascia, da illuminista che era, aveva ragione, perchè aveva visto bene passando da Noto, soffermandosi nella Piazzetta 3 Ottobre, leggendo la lapide che ricorda l’uccisione di Paolo Mirmina, rivolto a Enzo Papa, gli disse: “Conosco quella storia di mala giustizia, meriterebbe di essere scritta” . Ed è stato Enzo Papa, che in occasione del centenario del delitto politico di Paolo Mirmina a scrivere il libro che voleva scrivere Sciascia.
Roberto Bellassai