Da quando i miei cari genitori, riconoscendo, per altro abbastanza precocemente, il mio avvenuto ingresso nell’età della ragione, mi consegnarono solennemente, allora si usava così, le chiavi di casa, dopo avermi, con amorevole fermezza, ammonito su un uso moderato e, soprattutto, ponderato della “naturale” autonomia concessami, ogni qual volta la vita mi ha posto davanti un incrocio, dopo analisi, valutazioni, riflessioni e scenari, ho, quasi sempre, intrapreso sentieri, pagando talvolta, per fortuna raramente, dolorosi pedaggi, indulgendo nella scelta verso le direzioni prospettate dal lato meno aristotelico del mio essere, quell’istinto così poco ragionato ma intimamente così tanto ragionevole da farti sentire, in momenti difficili, quanto meno in pace con te stesso.
Questa piccola personale overture, noiosa probabilmente ai più, serve a spiegare perchè, da buon scrivano del proprio intimo sentire, su cui già nel lontano 2009, riflettevo obbligandomi almeno per questa volta all’esercizio della logica cartesiana e senza volermi imbarcare in avventuriere derive dialettiche sulla dimostrazione dell’ormai inesistente dicotomia tra sinistra e destra, rimandando per questo alla gradevole e leggera lettura del testo della canzone del grande Giorgio Gaber “Destra-Sinistra” dispiace ammettere, assumendone ogni responsabilità e preparandomi alle più aspre critiche di tanti, giovani e vecchi, in attesa ancora fiduciosi dell’alba del “sol dell’avvenir” loro malgrado sempre più a “stelle e strisce” che, dalla oggettiva lettura di quanto fatto dal governo Renzi, continuiamo a vivere, purtroppo, un berlusconismo senza più Berlusconi”.
Come si sa l’esercizio della logica applicato alle questioni antropologiche porta precocemente al pessimismo per cui mi voglio astenere dal partecipare agli incolpevoli e sfortunati lettori i noiosi pensieri sulle mirabolanti soluzioni elaborate dai tecnici del regime partitico nella quotidiana messa in scena mediatica sulla sanità, sul lavoro, sul fisco, sulla legalità, sul welfare etc, etc.
Né la teoria del “male minore”, perché onestamente bisogna dirlo non sono tutti uguali, mi preserva dal percepire i partiti, e insieme a me penso tanta gente, come macchine di potere e di clientela, con arrogante scarsa conoscenza della vita e dei problemi della gente; golem con cui si è costretti a confrontarsi per qualsiasi adempimento della quotidianità.
“Il professionista ottiene un incarico perché il proprio referente politico è in auge, un’autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un’attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti”.
Qualcuno oggi può ragionevolmente pensare che i partiti possano autocostringersi a interrompere questa orribile catena vessatoria e mafiosa che opprime tutta la popolazione?
Tuttavia la considerazione, forse la più amara, quella che non vuoi ma che devi assolutamente far emergere e non puoi condonare a nessuno, che il percorso di cittadinanza attiva, gli spunti, i pungoli e le critiche, in definitiva la forza stessa di questo “movimentismo” iniziato da qualche tempo, con reali e virtuali compagni, nato per cercare di arginare la deriva politica, corre il rischio di essere inevitabilmente assorbita, risucchiata dai partiti e fatalmente destinata a rafforzare quella stessa casta per nulla rettificata ma semmai peggiorata.
Rimuginando per qualche giorno, su quale percorso intraprendere nell’ennesimo bivio della vita, se percorrere la comoda autostrada dell’offrire il proprio piccolo contributo di passione civile e tempo per rafforzare una politica che si ritiene deleteria, lavorare cioè consapevolmente, come diceva il vecchio Marx, per il re di Prussia oppure l’altra, egualmente agevole, strada del ritirarmi nel mio, tutto sommato, appagante “particulare”.
Non riuscendomi di decidere, come spesso mi è accaduto in passato in simili spinosi frangenti, ho riletto gli scritti, miei e di altri apprezzati autori ai tempi di Notolibera, soffermandomi in particolare su uno che poi diede vita a “Progetto Noto”, in cui auspicavo l’impegno di cittadini “illuminati” per la rinascita della città chiedendomi se fosse solo mero sfogo espressivo, figlio di un maturo narcisismo, o questo pensare e scrivere fosse forma dell’agire politico che tuttavia, ancora una volta, cercavo di rifiutare nella prassi con l’alibi della “teoria del pungolo” cioè i movimenti, la Cittadinanza non possono diventare soggetti politici permanenti, devono solo essere pungolo provvisorio.
La Cittadinanza scuote l’albero, i partiti ne raccoglieranno i frutti che inseminati non saranno più avvelenati.
Misero alibi perché i fatti italiani e locali ci dimostrano che la “teoria del pungolo” è un pio desiderio, i partiti raccolgono i frutti della Cittadinanza ma ne rifiutano pervicacemente ogni innesto di idee, valori e pratiche.
Il personale “Kairos” cioè la propria visione del tempo giusto che si concilia nell’efficace azione per la propria città espressa in tanti scritti mi costringe a intraprendere un sentiero impervio e periglioso, tentare, e con me spero tanti altri, la soluzione di una equazione ritenuta impossibile, quasi un’impresa da medaglia Fields della matematica, esercitare “immaginazione democratica” cercare cioè di dare “peso” alla debolezza strutturale della spontaneità della Cittadinanza.
Penso che per i cittadini di professione sia arrivato il momento di confrontarsi in modo esplicito e chiaro con la situazione di questa città, nella quale viviamo, lavoriamo e che nonostante tutto amiamo.
Che ci sia un legame tra i temi di cui ci si occupa quotidianamente e lo stato della politica nella città, è fuor di dubbio.
E’ necessario ridefinire che cosa significa essere indipendenti, ma non neutrali o indifferenti, così come fondamentale appare il determinare un sentimento comune generale e particolare e chiarito questo, concretizzare lo sforzo di immaginazione democratica, in una geometria variabile, un movimento proprio del carsismo, che ribalti la geometria lineare della partitocrazia, uno schema rigido, in cui in una triste raffigurazione irreale in cui la sinistra, con diversità di toni di colore tarati sul tasso presunto di opposizione al capitalismo, mentre il capitalismo non lo combatte più nessuno, sfocia spessissimo nell’inciucio del consociativismo con la destra, trascinando l’Italia e la città nell’eclissi della democrazia, ed infine trovare gli alleati giusti con cui fare tutto questo perché pensare di farcela da soli è pura velleità.
Quali migliori ragioni comuni da mettere in campo se non i “temi civili” così vaghi e impalpabili per la nomenclatura ma così partecipati dal popolo democratico del V-Day di Grillo, liquidato frettolosamente dal partitocratrico-finanziario- corporativo-catodico blocco sociale di sinistra e destra come qualunquista e forcaiolo?
Quale coagulante migliore in questo sorta di appello di sapore sturziano alle donne e agli uomini di Noto, giovani, liberi e forti, se non la Cittadinanza contro le obbedienze identitarie, contro i privilegi corporativi, la legalità come strumento di eguaglianza anche sociale che costringe l’establishement a non prevaricare?
Quale miglior terreno comune fondante in città della ricerca dell’impegno di cittadini liberi da condizionamenti ideologici e da obblighi di obbedienza ad una casta di comando controllata da segreterie nazionali, regionali e provinciali, nell’analisi dei problemi del proprio territorio, nell’individuazione delle soluzioni concrete più opportune e degli uomini più capaci per raggiungere obiettivi condivisi, valorizzando intelligenze e competenze troppo spesso escluse?
In questa geometria variabile non dobbiamo nasconderci quello che sappiamo perfettamente: i dirigenti dei partiti capiscono solo la perdita del potere, il venire meno del monopolio della rappresentanza sul “proprio” elettorato.
Paradossalmente vincere o perdere le elezioni rappresenta una fase dell’immutabile corso e ricorso del potere politico, l’unico linguaggio che può spingerli al cambiamento è il timore di perdere una quota della loro rappresentanza politica.
Puerile sarebbe allora “l’aspettare Godot” dell’autoriforma dei partiti, bisogna rendere attuale, incombente, operativo il loro più oscuro timore, organizzare cioè la minaccia corrispondente, di organizzarla fino all’ipotesi di una lista cittadina alternativa.
Una cosa è necessaria affermare per evitare di far cadere in tentazione gli inevitabili scettici con la fuorviante sentenza, “ecco un altro che si fa avanti”; no, d’accordo e non lo ripeterò più, non ho alcuna intenzione di farmi del male preannunciando l’estremo olocausto di una futura candidatura personale alla massima carica cittadina, ma posso, dobbiamo e possiamo, spenderci per sostenere qualcuno che rappresenti i valori della Cittadinanza, qualcuno che lo faccia “a tempo determinato”, eliminando così nei fatti il professionismo politico.
Dobbiamo, tutti assieme, proporre e sostenere, a tutti i livelli candidati, credibili nel rappresentare i valori e la prassi fondante della cittadinanza attiva e partecipata, perché se non si avanzeranno mai candidature, i partiti potranno tranquillamente perseverare come se i movimenti non fossero mai esistiti, come se i loro ideali e i loro valori non fossero più vissuti da tanti cittadini democratici.
E in questo caso, per questione elementare di serietà, dovremmo smetterla di scrivere il quotidiano “cahier de doleance” dei nostri governanti nazionali e locali
Mi accorgo che questa volta nella foga della passione civile ho travalicato il limite della noia, e sperando con questo scritto di aver riscaldato le menti e i cuori dei sinceri democratici mi è necessario tuttavia avvertire quanti vorrano “solidarizzare” che spesse volte la speranza è pura illusione.
Illudersi è faccenda personale, illudere può diventare colpevole irresponsabilità ma per questa ipotetica colpa non mi resta altro che appellarmi alla clemenza della corte.
“Eppure, da ingenuo ottimista, avverto la sensazione che una leggera brezza di primavera si stia levando, chissà che non mi sbagli …”
Carmelo Filingeri
“…Così tra questa Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce In questo mare.