Neanche due mesi dal mio precedente articolo su questa cittadina del profondo sud e la redazione dell’”Eco del Sud”, con cui collaboro da quasi 5 anni, mi ha chiesto di ritornarci per registrare ed analizzare gli umori e gli sviluppi legati agli esiti della recente consultazione elettorale.
L’obiettivo è di caratterizzare un pezzo della sfaccettata provincia siciliana come “laboratorio politico” nazionale, attraverso le sensazioni raccolte e maturate in una piccola comunità come quella di Vigata.
Arrivo a destinazione, spossato non poco da piccole odissee impostemi tra gli aeroporti di Firenze e Fiumicino, in una serata afosa e fastidiosamente umida di fine estate.
L’invasione pacifica di turisti è ormai finita con il trascorso agosto, anche se non è difficile riconoscere ancora, per il corso principale, qualche non più giovane coppia del Nord Europa.
I bar che avevo lasciato la scorsa volta, sono ancora aperti e popolati.
Orazio Rubini, mi viene incontro e mi saluta calorosamente come solo i meridionali sanno fare. Ma cambia registro in pochi minuti, appena consumati i convenevoli. E’ incontenibile. Data la stanchezza del viaggio, faccio fatica a stargli dietro, anche letteralmente.
Mi conduce, o meglio, mi trascina sottobraccio lungo il Corso Umberto, indicandomi con maldestra discrezione, alcuni capannelli di persone che, a suo dire, fanno ciascuno capo ai vincitori delle passate elezioni, nel bel mezzo di “comizietti”, come lui li definisce con malcelato disprezzo.
Molti di questi assembramenti finiranno la serata in una pizzeria del circondario, per sancire, tra una capricciosa e una birra a sbafo, nuove preziose alleanze ed adesioni.
Fin qui niente di particolare, gli faccio notare.
Rintuzzandomi, il Rubini mi avverte che una novità stavolta c’è, eccome. Ed è costituita da alcuni particolari partecipanti ai “comizietti” incentrati sugli “accordi” presi prima delle elezioni.
Occorre tornare allo scorso luglio, quando avevo avvertito la netta sensazione che Vigata stesse per spiccare il salto verso un nuovo livello di degrado morale e sociale, inedito per queste parti.
La cosca dei Falsopepe era infatti uscita coi suoi affari alla luce del sole, entrando con soldi freschi nel vivo dell’economia locale, rilevando varie attività artigianali legate al settore del turismo.
Un evento che era stato colpevolmente tollerato e, forse, sottovalutato dalla politica e dalle istituzioni locali.
Fatta eccezione per il famoso Commissario Montalbano da cui avevo raccolto, proprio la volta scorsa, la promessa di imminenti clamorosi sviluppi delle indagini in corso.
Una svolta, però, come mi riferisce il Rubini, che sta radicandosi più velocemente di quanto ci si sarebbe potuto attendere.
Di botto il Rubini si ferma, guardandomi dritto negli occhi.
Stavolta sono io ad avvertire una indefinibile, ma strana espressione sul suo volto, quasi che, al di là delle parole fino ad ora pronunciate, volesse ora indurmi a fare qualche precisa domanda.
E’ in occasioni come queste che trovo le maggiori differenze tra il modo di fare di un emiliano fino al midollo, come io sono, e un siciliano, anche se non del tutto tipico, com’è il Rubini.
Arrivati a certi argomenti, egli perde l’uso diretto delle parole, ed inizia una comunicazione complessa fatta di smorfie, di metafore, di spallucce e di enigmatiche frasi lasciate a metà, di sospensioni e di sbuffi, in mezzo ai quali ancora non riesco bene ad orientarmi, a cogliere i segnali essenziali.
C’è chiaramente qualcosa di arabo in tutto ciò, qualcosa che nel bene e nel male differenzia questo lembo di meridione dal resto d’Italia e che alimenta da ormai più di centocinquant’anni stereotipi e pregiudizi da parte di superficiali “continentali”, come in genere vengono definiti da queste parti gli italiani da Roma in su.
E’ tardi, sono troppo stanco, giuro, la mia curiosità di giornalista è rimasta intatta come agli inizi della mia soddisfacente carriera, ma proprio non ce la faccio.
Mi faccio accompagnare al mio ormai solito B&B, presso cui avevo già depositato i miei bagagli, e in poco più di un quarto d’ora mi trovo a letto, nonostante la stanchezza, a cercare di decifrare, in questi scampoli di veglia, quello che Rubini evidentemente cercava di farmi capire.
Qualche minuto e il sonno ha la meglio.
L’indomani, già passate da poco le otto, sono al bar a sorseggiare con calma il mio immancabile cappuccino. “Dottore Gerardi”, mi apostrofa il simpaticone del proprietario, “di nuovo qui, … non è che si sta già affezionando a queste parti?”. Sorrido, mentre sto per accendere il mio sigaro.
Alle otto e mezzo, come concordato, viene Rubini a prendermi, ma invece di accompagnarmi al commissariato, dove dovrei incontrare Montalbano, mi fa salire sulla sua Vespa dicendomi: “Dutturi, devo farti vedere una cosa …”.
Neanche dieci minuti e ci troviamo in un piccolo piazzale, circondato praticamente dal niente, se non dal paesaggio lontano.
“Questo è il nostro belvedere” dice Rubini “qui vengo quando devo pensare, soprattutto quando l’argomento dei miei pensieri è il mio paese. Mi sembra che a guardarlo così, – allunga la mano quasi a toccarlo – tutto dall’alto, mi aiuti a valutare con il necessario distacco le cose buone e brutte che riguardano la mia gente …” .
Si ferma. Penso: ci risiamo, ora inizia l’ormai consueta tiritera di mezze frasi e di metafore …. E invece no. Orazio riprende, quasi sotto voce. “Stanotte, probabilmente stamattina presto, qualcuno si è sentito in dovere di tagliarmi le gomme della mia Panda. E la colpa è mia, …. ieri sera quando sei arrivato, ero un po’ alticcio e sono stato troppo imprudente nel mostrarti le “novità”, chiamiamole così. Anche, perché, in qualche modo ho esposto inutilmente anche te. E a quanto pare, era meglio non farlo. …”.
Comincio a collegare i “comizietti” della tarda sera di ieri, alle frasi smozzicate del mio amico.
Il tempo solo di prendere il fiato, per appoggiarsi alla ringhiera e continuare : “Il fatto nuovo e disastroso è che si è rotto quello che ho sempre definito il ”diaframma”, cioè quell’impalpabile meccanismo di separazione, fatto di consuetudini, residui di principi morali e sani timori, che hanno sempre fatto sì che la cosiddetta “società civile” – in pratica la borghesia locale, fatta prevalentemente di impiegati, professionisti e pensionati – si mantenesse stagna rispetto alla parte malata della nostra comunità, con cui si era raggiunto e consolidato un punto di equilibrio, un tacito e inconfessato patto di reciproco “rispetto”, che aveva da sempre garantito un accettabile compromesso di convivenza sociale …. Sì, in verità c’è sempre stata una zona grigia di politucoli, di piccoli intrallazzatori e parassiti che non ha disdegnato di intrattenere e mantenere, a buon rendere, diciamo, “cordiali” rapporti con i malavitosi di turno … Ma è sempre stato, pur nella sua diffusione, un fenomeno che ha creato nel complesso pochi problemi. Anzi, se vogliamo dircela tutta, ha contribuito a stemperare le eventuali tensioni tra questi due mondi, mantenendo stabile questo difficile equlibrio … ” , si ferma, distogliendo lo sguardo dal paese per strofinarsi più volte la fronte col palmo della mano destra, quasi fosse una sorta di personale lampada di Aladino, da cui far scaturire i suoi ragionamenti.
E, in più, mi dice con aria quasi rassegnata, gli ingranaggi sono così ben oleati, così articolati e intrecciati da sembrare impermeabili e inattaccabili.
Adesso, oltre ai normali “affari”, si punta l’attenzione verso i poveri cristi, gli immigrati, i disagiati mentali, quelli che hanno bisogno e, a cui molti imprenditori “etici” porgono benevolmente la mano.
I soldi ….. il consenso …… l’aggregazione …… il tutto insaporito dalla pietas clericale che spegne i riflettori da queste lucrose attività.
Altro che Centri commerciali di cui ti parlavo. E tra i Falsopepe e questi imprenditori caritatevoli sono presenti a pieno titolo anche personaggi che fino a pochi anni fa venivano evitati come la peste e che oggi non è raro vedere a braccetto con quelli che una volta passavano per “stimati” professionisti e “accettabili” amministratori. ….”.
Si ferma, stringe le labbra, facendole quasi scomparire alla vista e si strofina ripetutamente il mento con il dorso della mano. Quindi rivolgendo lo sguardo di nuovo verso il paese inizia, silenzioso, a dondolare lentamente la testa a mo’ di negazione.
Io le conosco queste persone. Le ho incontrate nel mio trentennale lavoro di inviato in Sud America, nel corno d’Africa, nei Balcani.
Appartengono ad una razza particolare. Sono quelli che si fanno carico dei problemi delle loro comunità, che li antepongono anche alle loro vite, miserabili o privilegiate che siano, che non riescono a girarsi dall’altra parte per vigliaccheria o per quieto vivere.
Che nelle peggiori occasioni ci rimettono la vita e che mettono in serio pericolo quella dei loro familiari e amici.
Mi viene di pensare che siano una sorta di anticorpi che la specie umana crea per cercare di correggere le proprie patologie a livello sociale.
Gente dotata di antenne particolari, in grado di percepire anche quello che ancora ovvio non è, e che sovente viene liquidata come affetta da manie di protagonismo o da paranoiche ossessioni.
Inizio a guardarlo con un altro occhio. Ormai lo spettatore lo so far bene. So individuare l’ “artista”. Ma so anche capire se il palco e il pubblico per cui “recita” gli permetteranno di arrivare alla fine dello spettacolo.
So di certo che se quello di cui parla è vero, non si limiterà alle attività artigianali, né, tanto meno, al famigerato centro commerciale o ai disagiati mentali.
Il fattore economico è quello che alla fine riesce a mutare nel bene e nel male comunità e nazioni.
Le patologie sociali, la tendenza a scantonare, fanno parte del gioco e sono insite nella natura umana. In assenza di contrasti prendono il sopravvento, creando un nuovo sistema di rapporti sociali funzionale alla tendenza prevalente.
Ed è quello che sta succedendo a Vigata.
Il compromesso sociale più che secolare, quello che ha fatto appartenere questa cittadina alla cosiddetta “provincia babba”, sta per saltare se non è già saltato.
La parte malata ha iniziato il suo debutto in società e, possiamo starne sicuri, non si limiterà a curare i propri interessi aderendo alle regole della civile convivenza. Lo sperimenteranno tutti quelli che per scelta o per sfortuna, si metteranno di traverso rispetto alla realizzazione ed al mantenimento dei loro interessi.
La zona grigia si estenderà a dismisura, contaminando tutti i settori della società e gli Orazio Rubini costituiranno, sempre di più, la sola possibilità di riscatto. Questi fenomeni, una volta innescati, si “evolvono” per decenni e chissà se di questo Orazio ne sia pienamente cosciente.
Eppure, oggi è una bella giornata, del tutto indifferente ai problemi che affliggono la terra che ne sta godendo. E poi, è anche tardi. “Orazio” – dico seccamente – “amico mio, basta con le ciance, è ora che tu mi conduca da Montalbano, con cui penso proprio dobbiamo fare una bella discussione … “
Di nuovo a cavallo di questa formidabile Vespa, rigorosamente senza casco, ci riavviamo verso Vigata, verso il commissariato.
LINCONTINENTE