Siddhartha, Romanzo dello scrittore tedesco Hermann Hesse, premio Nobel per la Letteratura nel 1946, considerato dalla critica la sua Opera più universale, viene pubblicato a Berlino nel 1922.
La storia è quella di un giovane ricercatore, Siddhartha, “il risvegliato“, un giovane che rinuncia alla ricchezza, agli agi e ai piaceri della vita ordinaria di una famiglia di cui il padre è un ricco Brahmano Indiano, perchè la vita in famiglia e in società diviene per lui, ripetitiva, senza reali interessi, quindi riduttiva, parziale, falsa.
Si rifugia nella foresta, dove vive con un gruppo di “ Saggi “ , i Samana, ed attraverso rinunce, digiuni, pratiche ascetiche e meditative, lo iniziano a proseguire un sentiero spirituale, ma insoddisfatto dall’insegnamento, e a causa della sua sete di vivere senza alcuna finzione, continua la ricerca di una visione totale, che non ammette nemmeno l’ombra del condizionato in sé, di conseguenza lascia i “Samana“ .
Siddhartha ricerca una realizzazione non parziale del suo essere, non escludendo quella fisica – corporea – sessuale, ricerca una dimensione che lo porti verso una uscita totale da ogni modalità conosciuta. Così nel successivo incontro con Gotama il Buddha, esprime questa sua esigenza a cui Buddha non sa rispondere, nè a dare strumenti.
Decide che la realtà e ogni sua diversità di soggetto può divenire il suo Maestro. — “ Io so pensare. Io so aspettare. Io so digiunare. “ Così Siddhartha risponde alla domanda : Cosa sai fare? da parte di Kamala, la Cortigiana di cui subito si innamora, e da cui viene iniziato alla sensualità, all’erotismo. Kamala a cui Siddhartha aveva chiesto di volere apprendere da lei, “ le gioe dell’amore, “ le insegna l’arte d’amare, il Kamasutra.
Conosce il mercante Kamaswani, con cui diviene socio in affari, ma dopo alcuni anni che vive con Kamala pur divenendo ricco, prova noia e disgusto per la vita intrapresa, facendo riemergere dentro di sé quello “ spirito interiore “ , che sempre lo aveva guidato.
Va via da Kamala e dagli affari, abbandona tutto ed errando nei boschi si ferma davanti a un grande fiume dove da tempo vive un barcaiolo di nome Vasudeva, che dal fiume ha imparato “ l’arte di ascoltare “ .
Siddhartha, nel “ Fiume “ trova un altro Maestro, ne ascolta il linguaggio armonico e musicale con cui stabilisce un rapporto e un “ campo d’energia “ , che gli permette di cancellare nel suo continuo mentale le tracce dei “ suoi meccanismi “ e dei “ suoi dispositivi “ .
Si rende vuoto, vuoto di sete, di desideri, fino a “ bruciarsi “ e a morire a se stesso.
Sin dall’inizio della ricerca si rese conto, che le religioni organizzate e non, con le dottrine che praticano, non potevano trasmettergli quella liberazione dall’io, che porta all’illuminazione.
Il suo caro amico Govinda, che ha seguito gli insegnamenti del Buddha, incontrato sul Ponte del Fiume, diviene il testimone vivente e nello stesso tempo
colui che denuncia passivamente lo stato religioso senza uscita in cui egli stesso versa.
La realtà, il quotidiano, diventano nei fatti il suo Maestro, e non le Chiese burocratiche, che si limitano ai riti, al potere, di conseguenza al controllo etico, culturale, politico e sessuale dell’individuo.
La realtà diventa la palestra dell’autodestrutturazione per Siddhartha, in cui attraverso una decostruzione che gli ha permesso un processo di identificazione di sé, si libera di tutti gli aspetti e le forme di potere interiorizzate, che la società storicamente con le sue micro e macro istituzioni ha imposto, perpetuato, distillato, trasmesso.
La scrittura del libro è essenziale, asciutta, vitale, cristallina, completa nel contenuto, quasi trasparente. Si potrebbe dire che si tratta di scrittura della differenza, che spesso diventa e si fa suono, musica alle orecchie e al cuore di chi legge – ascolta.
Ogni personaggio che appare nel libro, gradualmente sfuma, come se si trattasse di latenze o di doppi dello stesso Siddhartha, di un ricercatore, che ricercando, si potrebbe dire, taglia la testa al ricercatore.
La reazione che si ha dopo avere letto e riletto questo Romanzo, non può essere che di attrito, di urto e di rottura nei confronti delle istituzioni sia civili che religiose, perchè autoritarie e repressive.
Ecco uno dei tanti esempi chiari, di una visione spirituale Laica, e di un messaggio realmente nonviolento.
Roberto Bellassai