E dire che la giornata era iniziata nel modo giusto, come meglio non ci si può aspettare dall’inizio di una nuova vita, ancor più apprezzabile se paragonata alla precedente, contrassegnata da tantissime, troppe, umiliazioni e bocconi amari, piccoli e grandi, mandati giù in nome di improbabili tempi migliori che invece si sono, vivaddio, concessi.
A pensarci, ho ben presente la sensazione che nella mezza mattinata attraversava il mio corpo, in municipio, nel salone stile impero che tante volte, negli ultimi decenni, avevo calcato con atteggiamento ora servile, ora polemico, mai sereno.
In questi nuovi, inebrianti, irripetibili momenti, quasi sopraffatto da un rigenerante senso di vera e propria onnipotenza, come fotogrammi di un film, decine, centinaia di facce mi scorrevano davanti sorridenti o finte tali, e io, quasi avessi inserito una sorta di pilota automatico, sembravo guardarle con interesse, stringendo le mani a loro collegate e, addirittura, rispondendo con manieristica sagacia alle immancabili brillanti frasi propinatemi dai complimentanti avventori.
Un unico, totalizzante pensiero governava invece il mio stato cosciente: ce l’avevo fatta. Da oggi ero il nuovo sindaco, per chissà quanto tempo a venire. E pensare che solo ieri la cosa mi appariva sempre più lontana e irrealizzabile, che già meditavo un dignitoso defilarmi dalle luci della ribalta …
Ricordo anche quando, poco dopo, quasi ad ora di pranzo, capì di avere bisogno di stare una decina di minuti da solo. Dovevo raccogliere le idee. Troppi stimoli nuovi. Decisi in un attimo di allontanarmi. Scusandomi con tutti, facendo finta di essere impegnato in una telefonata “importante”, guadagnai una delle toilette del municipio. Fu proprio seduto sulla tazza, con la testa tra le mani, che iniziai veramente a realizzare quello che mi stava succedendo.
Il patto di ferro concluso l’altro ieri notte con Bommiscuro, già imparentato con il mio avversario al ballottaggio, aveva veramente fatto la differenza.
E dire che fino a poco prima, in campagna elettorale ce ne eravamo dette e fatte di tutti i colori: lui ad additarmi, da finto moralista, come una specie di Arsenio Lupin degli appalti ed io a tacciarlo di interessata ipocrisia, avendo egli sistemato, con uno “strano” concorso, i suoi due figli maschi come messi notificatori al comune.
Ma superate queste scaramucce, che ora definirei tecniche, il nostro accordo sottobanco, per far fuori l’altro candidato, il sindaco uscente avv. Santalfano, era stato un capolavoro di strategia elettorale.
Non ultime, avevano giovato le centinaia di sms inviate allo stesso Santalfano ed ai suoi fedeli, mezzora dopo l’accordo con Bommiscuro, con cui lo avvertivamo del (finto) tradimento del suo più incerto alleato, l’ex assessore Profumo, creando non poco scompiglio e disorientamento tra quelli che (e sono tanti) sono sempre pronti a salire sul carro del più sicuro vincitore.
Uscito dalla toilette, viaggiando quasi ad un palmo da terra, mi intrufolai nella ormai mia sala; mi sedetti con una certa solennità sulla mia poltrona già immaginando e pregustando l’atteggiamento opportunisticamente sottomesso di tutti quelli che da quel giorno si sarebbero seduti dall’altra parte della vecchia scrivania in legno massiccio.
Lì, in quel momento, credo di avere raggiunto il massimo stress emotivo, paragonabile solo a quello che avevo provato dopo il quarto goal di Rivera nell’epica partita della nazionale italiana contro quella tedesca. Subito mi prese la voglia incontenibile di avere nell’immediato qualcosa di tangibile ad attestare la per me inedita sconfinata possibilità (almeno così la sentivo) di disporre di persone e cose: non seppi far altro, come uno studente entrato di soppiatto nella stanza del preside, che appropriarmi clandestinamente della stilografica messa in bella mostra sulla mia scrivania.
Immediatamente, al compimento di quel gesto, mi balenò in mente l’immagine di mio nonno Peppino, da cui avevo preso il nome, che si sbellicava dalle risate dopo avermi sorpreso, ancora dodicenne, a rubargli dal portafogli sul comò le mille lire con il faccione di Giuseppe Verdi; ricordo che non potè fare a meno, con il suo solito umorismo, di pronosticarmi un sicuro avvenire in politica …
E devo dire che un certo talentaccio, in barba all’ironia del nonno, dovevo pur averlo, se ero arrivato infine a questo punto. Ciò non mi impediva di apprezzare e, sovente, utilizzare l’esperienza fatta da altri, senza alcun pregiudizio, perché in fondo sono un tipo molto aperto.
Non ho quindi alcuna difficoltà ad ammettere che è stata salutare l’osservazione dei metodi, alcuni dei quali rivoluzionari dalle nostre parti, utilizzati dall’ultimo sindaco di un paesino della provincia vicina per coltivare e raccogliere consensi.
Così un anno prima delle elezioni, avevo preso in mano la squadra di hockey e avevo ingaggiato diversi militari americani (rigorosamente repubblicani) da una vicina base NATO; poi avevo fatto concedere un “prestito d’onore” a due ragazzi con velleità giornalistiche, che avevano fondato una piccola TV che, con comprensibile riconoscenza, utilizzavano per diffondere comunicati ed articoli a volte anche troppo “allineati”. Poi, e lo dico soltanto a voi, ero perfino arrivato a fare un lifting; mi ero così sbarazzato di quelle due 24 ore che avevo sotto gli occhi e, dato che c’ero, avevo anche eliminato l’antiestetica voglia di ginocchio che avevo dietro la testa.
Da quando poi, negli ultimi mesi, avevo deciso di ingaggiare un qualificatissimo consulente elettorale, presentatomi come il preferito dell’On. Biondi, avevo anche adottato un look molto sul griffato, a base, soprattutto, di vestiti scuri con sotto T-shirt anch’esse scure.
Insomma, cercavo di ostentare in tutti i modi l’immagine di un vincente.
Ma nonostante mi forzassi, dentro, dentro ero quello di sempre. Insicuro, sicilianamente sospeso in una rarefatta atmosfera di inconcludente pessimismo mescolato a scoraggiante fatalismo. Solo la scorza era nuova anche se, devo ammettere, ben costruita.
Finita la pausa di riflessione, caricato come non mai, mi dedicai ai media.
In questa nobilitante accezione intendevo inclusi la mia piccola TV e quei due o tre giornalisti compaesani, che io preferivo definire “pennivendoli”, addomesticabili corrispondenti delle rutilanti testate giornalistiche regionali. Proprio a loro, in quella che mi piaceva considerare la mia prima conferenza stampa, avevo deciso di affidare le mie prime parole da sindaco. Per le foto di rito, il mio consulente mi aveva suggerito di togliere la giacca e di indossare una camicia bianca con un bel collettone e con le maniche tirate su ad arte.
E così avevo proferito le solite, memorabili, frasi: “sarò il sindaco di tutti ..”, “… ci sarò per chiunque avrà qualcosa da dirmi o da chiedermi ..”, “… sono sicuro che la nostra città ha in sé tutto quanto necessario per risorgere ..”, “io e la mia giunta, siamo una squadra affiatata e non vediamo l’ora di metterci al lavoro …”, “si, certo sono un convinto sostenitore della laicità delle istituzioni, ma non possiamo ignorare le radici cristiane della nostra cultura…. “, e così via, sguazzando in lungo ed in largo in un laghetto di inevitabili banalità.
Dietro gli intervistatori, reso quasi invisibile dal contrasto cagionato dagli spot puntati su di me, mi sembrò di vedere per un attimo Bommiscuro con in faccia dipinto un ghigno per niente rassicurante. Ora ne conosco il significato.
Poco dopo l’incontro con stampa e TV, circa alle 17,30, come d’accordo ci siamo riuniti con la giunta. Appena entrato nella sala, la mia attenzione venne attirata non tanto dalle facce attonite di tutti gli assessori seduti silenziosamente attorno al grande tavolo, ma dal testone gongolante del futuro vice-sindaco Bommiscuro. Questi, in piedi, indicandomi teatralmente con l’indice, ultima penisola del suo braccio destro teso, iniziò a blaterare su gravi reati da me perpetrati nell’affidamento dell’appalto per la informatizzazione della biblioteca comunale, corruzione, concussione, abuso in atti di ufficio, ecc., ecc.
Ero ancora senza fiato per la sorpresa, che dalla porta opposta, quasi come in una rappresentazione teatrale, entrarono tre carabinieri che, attraversando la sala con passo spedito, mi raggiunsero pronunziando la fatidica frase “Lei è in arresto ..”.
La vista mi si appannò, ricordo solo che, quando sono tornato cosciente, stavo stringendo il collo di Bommiscuro; ma solo per pochi secondi, il brigadiere in un attimo mi aveva reso inoffensivo cingendomi i polsi con le sue algide manette.
Per la seconda volta nella giornata mi tornò in mente nonno Peppino, questa volta quando io, quattordicenne, lo vidi per l’ultima volta sul letto di morte. Lui ancora lucido, intuendo l’inquietudine che allora iniziava ad animarmi, mi disse: “Puccio mio, nella giovinezza, come è giusto che sia, si vedono e si apprezzano soltanto i colori forti e le cose nette, ma vedrai, con l’età inizierai ad apprezzare e ad amare le sfumature della vita, i suoi colori tenui, pastello. Quando riuscirai a sentire questo vorrà dire che stai raggiungendo la cosiddetta maturità. Ma ricordati sempre di mantenere sempre un cantuccio del tuo animo riservato ai colori forti ed alle cose nette; fin quando ci riuscirai non sarai pronto a morire …”.
Da allora mi è passata, soprattutto attorno, la vita. Ho imparato a convivere con le sfumature, le dissolvenze, anzi sono diventato quasi un’autorità nel campo. Solo che ora, in manette, sullo scomodo sedile posteriore di questa camionetta della benemerita, mi sembra di avere visto soltanto sfumature dal bianco sporco, al grigio fin al nero più cupo.
Mentre ci allontaniamo su questa squallida autovettura (neanche il riguardo di una Alfetta per il sindaco Montalveria) , penso che questa scena, vista da fuori, starebbe benissimo come finale tragicomico in un vecchio film di De Sica. Solo che, purtroppo sono io il grottesco protagonista, ma vi garantisco che non finisce così. Per quel poco che mi è dato sapere degli umani accadimenti posso dire che anche questa nottata passerà. Sono o non sono Puccio Montalveria?..
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