E’ un libro di intervista e conversazione tra Giancarlo Dotto e Carmelo Bene, fatta sul terrazzo della Villa di Carmelo Bene, a Otranto, davanti al mare, in cui si parla di pubblico e privato, di teatro, di cinema, di letteratura, di filosofia, di avvenimenti, di fatti, di incontri con personaggi della cultura, letterati, artisti, filosofi, poeti, di tempo cronologico, di tempo Ajon, di tempo immediato, di atmosfere, soprattutto di ricerca, di sperimentazione teatrale che spesso disorienta.
Si parla di quarant’anni di vita culturale, soprattutto di teatro ma anche di esistenza, di resistenza alle infinite difficoltà che Bene incontra sulla strada del teatro, come nella sua vita.
Le 421 pagine del libro divise in venti capitoli, pubblicato da Bompiani nel 1998 già alla sesta edizione nel 2015, inizia con Carmelo Bene che afferma che il tempo non esiste, che non è mai nato, che è fuori dalla Storia, che non si sente cristiano né cattolico, che non festeggia né lutteggia, che s’è sbattezzato e scresimato da solo, scomunicato e due volte divorziato, dopo avere servito prima diecimila messe dai quattro ai quattordici anni, maledicendo Aloisius Lilius che nel 1582 fu colui che progetto e stese quell’orrore metafisico del Calendario gregoriano che si sostituì a quello giuliano.
Parlando delle sue origini dice di provenire da una famiglia “minima borghese“, molto vicina al popolo, cresciuto a Campi Salentina (Lecce) dove il Padre Umberto aveva una fabbrica in cui si lavorava il tabacco, un’attività con quasi mille operaie, tutte donne giovani.
Fabbrica da lui frequentatissima, dove cresceva in braccio a una moltitudine di ragazze che si può dire lo iniziarono all’amore e al sesso.
Un Padre autoritario, che buttava dalle scale a pedate sia i fascisti che gli Ufficiali delle SS, rischiando l’esecuzione, la madre, invece, era una cattolica bigotta che lo educò al cattolicesimo avviandolo in Chiesa tra i Preti a servire messe, mentre la zia Raffaella, una Maestra in pensione, lo educava all’arte e al canto.
Comincia le sue prime letture attingendo alla libreria della madre e della zia, legge Dante, Cervantes, Walter Scott, Dumas, Kafka, Shakespeare, Racine, Schopenhauer.
Quest’ultimo diviene il suo “educatore permanente“, mentre Shakespeare è il suo drammaturgo e le sue opere vengono da lui interpretate fin da ragazzo quando si avvolgeva un lenzuolo bianco, divenendo Amleto, Bruto, Marco Antonio.
Negli anni cinquanta “l’enfant terrible” si trasferisce a Roma dove si iscrive all’Accademia teatrale Scharoff, poi a quella di Arte Drammatica “Silvio D’Amico” ma li diserta entrambi limitandosi ai corsi di scherma, vivendo in stanze d’affitto tra una Pensione e l’altra, bevendo bottiglie di whisky, fumando stecche di Gitanes, mantenendosi giocando a dama, mangiando in Trattorie a credito, lasciando in pegno il cappotto o la giacca.
I suoi genitori gli passavano appena il denaro per pagarsi la Pensione e gli Studi che a lui non bastavano nemmeno per le sigarette.
Legge e studia nelle “case chiuse“ della capitale dove si presentava con pacchi di libri e dove veniva accolto con molta simpatia, luoghi che per lui erano l’ideale per leggere Shakespeare,Racine,Thomas Eliot, dove studiava Petrolini, Ruggieri, Zacconi.
A causa dei suoi eccessi nei confronti dell’arte e della vita, nel solo 1958, trascorre 325 notti nei vari Commissariati di Roma, più volte finisce in prigione da dove esce sistematicamente, tornando a vivere secondo il proprio sentire.
Anche il Caffè Greco e il Caffè Rosati erano i luoghi dove incontrava scrittori, artisti e poeti come Tommaso Landolfi, Ennio Flaiano, Eugenio Montale, Vincenzo Caldarelli, Giuseppe Ungaretti, e tanti altri ascoltando con molta attenzione i loro dialoghi e partecipando al dibattito.
Nel 1959, dopo avere ottenuto i diritti d’autore direttamente da Albert Camus, per un semplice posto in Platea, all’età di 22 anni, debutta con il Caligola al Teatro delle Arti con la regia di Alberto Ruggiero. In Sala era presente tutta la crema del teatro, della letteratura e del cinema italiano.
Un diluvio di ovazioni. Un successo.
“E’ nato un Attore nuovo, pieno di idee e di mezzi tecnici fino allo spreco. Che il cielo ci protegga“, così scriveva Giannino Galloni su L’Unità.
Il Caligola venne replicato quaranta volte.
Conosce l’Attrice Lydia Mancinelli, bella, intelligente, una splendida donna che diviene la sua compagna, la sua Segretaria, la sua Manager, la sua Autista e la sua Attrice che partecipa a moltissimi dei suoi lavori teatrali e a tutti i suoi cinque film.
Sia Lydia Mancinelli che Alfiero Vincenti divengono per il Cinema e il teatro di Carmelo Bene due figure fondamentali e insostituibili.
Lydia sarà la sua compagna per quasi venti anni.
Senza Lydia, dice lo stesso Bene, sicuramente avrei abbandonato il teatro molto presto.
Anno 1960, Spettacolo-Concerto-Majakovskij al Teatro alla Ribalta di Bologna, dal 1960 al 1980, saranno cinque le Edizioni dello Spettacolo- Concerto- Majakovskij, più una del 1974 per la Rai.
Dal 1961 al 1966 fonda il Teatro Laboratorio in una Piazzetta di Trastevere, poi il Teatro Beat 72 e il Teatro Carmelo Bene divenendo Regista di se stesso e mettendo in scena Amleto, Pinocchio, Majakovskij, Il Rosa e il Nero di Matthew Gregory Lewis, Ubu Roi di Jerry, la storia di Sawney Bean, di Roberto Lerici, Manon dal romanzo dell’Abate Prèvost, Eduardo II di Cristopher Marlowe, Gregorio: Cabaret dell’800, Cristo 63, Addio porco.
Quest’ultimo lavoro, che poi era un Teatro Cabaret, si recitava senza copione, senza ruoli e senza alcun Gesù, lavori a cui partecipavano come spettatori, intellettuali come Pasolini, Moravia, Elsa Morante, Dacia Maraini, Ennio Flaiano, Alberto Arbasino, Sandro Penna, Angelo Maria Ripellino, il Living Theatre tutte le volte che passa da Roma.
Uno degli Attori, Alberto Greco, che sulla scena interpretava l’Apostolo Giovanni era ubriaco al punto che pisciò letteralmente in faccia all’Ambasciatore dell’Argentina, alla moglie, e all’addetto culturale.
Uno scandalo che portò alla chiusura del Teatro Laboratorio con la scomparsa di Carmelo Bene per qualche tempo non solo dalla scena ma anche dalla zona essendo il responsabile del Teatro.
Con “Il Rosa e il Nero“, dal romanzo di G.M.Lewis al Teatro delle Muse, tutto esaurito, con sedie aggiunte, opera molto cara a Carmelo Bene che nasce tra Marlowe e la Patafisica, le attrici sono: Lydia Mancinelli, Maria Monti e Ornella Ferrari, in Sala ci sono Luchino Visconti, Anna Magnani, Monica Vitti, Pier Paolo Pasolini, Peppino Patroni Griffi, i poeti del “Gruppo 63 “, mentre per Ubu Roi, che fu un vero successo esilarante, Bene ricorda che Arbasino, Moravia, Giancarlo Fusco e Vincenzo Talarico scivolavano sotto le poltrone scompisciandosi da ridere.
Per “Il Rosa e il Nero” Ennio Flaiano scrive: “… Nel lavoro di Carmelo Bene quel poco che dev’esserci rimasto del romanzo (i personaggi e certe situazioni infernali) si è sciolto nell’estro di uno spettacolo che vuole arrivare alle conclusioni opposte, cioè ad una revisione del terrore, ad una sua utilizzazione come strumento di ironia letteraria. E si accetta. Quel che succede al monastero madrileno tra il monaco Ambrosio e le sue penitenti e alla fine tra quel dissoluto e il diavolo è paccottiglia: travestimenti, pratiche magiche, incesti, matricidi, processi, appuntamenti notturni, apparizioni di fantasmi …“
“E’ l’unico uomo vivo del teatro italiano“ scrive Eduardo Sanguineti.
Tra il 1966 e il 1970 pubblica il romanzo “Nostra Signora dei Turchi”, Sugar, Credito Italiano – V.E.R.D.I., A Boccaperta, Einaudi, L’Orecchio mancante, Feltrinelli.
Shakespeare, Nietzsche, Artaud, Laforgue, Joyce si aggiungono come educatori a Schopenhauer ed è così che Carmelo Bene da inizio ad un nuovo tipo di teatro chiudendo la fase esistenzialista mettendo in scena i vari Amleti, da Shakespeare a Laforgue, Il Rosa e il Nero, Salomè di Oscar Wilde e Il Monaco di Lewis, facendo a pezzi il testo, inaugurando la scrittura di scena non solo in Italia che è di -scrittura, macchina trita linguaggio, sospensione del tragico, attraverso il superamento del tempo cronologico in tempo Ajon.
Pier Paolo Pasolini, a cui non piaceva di per sé il teatro, “… lo sopporto con te e basta “ …” gli gridò.
Dal 1967 al 1972 gira cinque film più dei Cortometraggi che lo fanno conoscere in Europa, soprattutto in Francia, dai più importanti intellettuali francesi.
Il primo dei cinque film è “Nostra Signora dei Turchi“ che in pieno 68 viene presentato alla Mostra Internazionale di Venezia, dove vinse il Premio speciale della Giuria, premio vinto in concorso con i film di affermati registi nel campo del cinema come Pier Paolo Pasolini, Bernardo Bertolucci, Liliana Cavani, Nelo Risi e altri.
Presidente della Mostra Luigi Chiarini che dà “dell’Anarchico biancovestito“ all’Autore del film.
Gli altri quattro film sono: Salomè, Capricci, Don Giovanni, Un Amleto in meno.
Con il suo cinema che può apparire demenziale, “il teppista del cinema e del teatro“, come alcuni critici lo definiscono, non fa altro che operare una decostruzione del cinema, “calpestando il visivo, contro il cinema d’ombre e il mercatino dell’immagine“, come lo stesso Bene ripeteva, creando delle “immagini cristallo“ (Deleuze), facendo prevalere il suono.
Oreste Del Buono nel 1969 scrive: “…D’accordo allora: abbiamo un genio e non ce lo meritiamo. Il problema seguente, tuttavia, è questo: dato che lo abbiamo, sia pure senza meritarcelo, cosa ne facciamo? Un genio è inutile, ingombrante, preoccupante nella nostra stupida società, magari dannoso. Infatti non rispetta il sacro dei luoghi comuni di destra e di sinistra …”
Dal 1968 al 1972 Bene ritorna al teatro con Don Chisciotte,di Cervantes, con “Nostra Signora dei Turchi”, con la Rai realizza “Le interviste impossibili“, poi, nel 1974, appare in Televisione con un Riccardo III e “Quattro modi di morire in versi“ : Blok, Majakovskij, Esènin, Pasternak, quattro poeti russi del Novecento, vissuti nel periodo della Rivoluzione Sovietica dell’Ottobre del 1914.
Poi è la volta di un S.A.D.E al teatro Manzoni di Milano che, a causa di nudi femminili sulla scena, viene fatto sospendere per oscenità mentre lo stesso S.A.D.E ottiene un grande successo in Francia, a Parigi, al Festival D’Automne replicando il lavoro 11 volte e una Giulietta e Romeo per sei repliche.
In quest’occasione conosce Jean Paul Manganarò, Gilles Deleuze, Pierre Klosswoski, Michel Foucault, Jacques Lacan e altri.
Viene pubblicato da Feltrinelli, Sovrapposizioni, insieme a Gilles Deleuze, e Otello o la deficienza della donna.
Nel 1979 è il periodo della “macchina attoriale“ di C.B., come lui stesso si appuntava del suo superamento come soggetto, è il periodo del Concerto della Scala di Milano, del Manfred di Robert Schumann, dell’Otello televisivo, dello spettacolo Concerto Majakovskij, dell’Hyperion, della Voce – Orchestra, del “ buio musicale “ , di cui parlava Nietzsche.
Segue nell’81 la Lectura Dantis dalla Torre degli Asinelli di Bologna davanti a centomila persone, un Evento per ricordare i morti e i feriti della strage fascista della Stazione di Bologna nel suo primo anniversario che fece 85 morti e 200 feriti.
Nel 1983 da Longanesi viene pubblicato il Romanzo, Sono apparso alla Madonna.
Nel 1983, al Teatro Lirico di Milano, va fuori scena il Macbetht, l’Egmont in Piazza del Campidoglio a Roma, l’Adelchi e l’Otello sempre al Lirico di Milano e Lorenzaccio a Firenze.
Nell’87 è a Recanati, nel natio “borgo selvaggio“ del Poeta, dove di -sdicendo le parole, canta i famosi Canti di Giacomo Leopardi.
Nel 1990, su l’invito e le insistenze di Valerj Shadrin, Presidente dell’Unione Artisti Sovietici ed ex Ministro della Cultura con Gorbaciov, viene accolto a Mosca come lo Zar del teatro Italiano per una collaborazione e una“ ricerca teatrale “che durerà tre anni.
Con lui ci sono: Jean Paul Manganaro, Camille Domoulliè e Eduardo Fadini.
Al Teatro Majakovskij di Mosca continua nel suo di –sdire i “Quattro modi di morire in versi“ e l’Achilleide.
La Stampa e i critici teatrali scrivono di un C.B. come fenomeno paragonabile solo a Nijinskij per le emozioni che è riuscito a dare e a trasmettere, un C.B. magico che strega il pubblico del teatro Majakovskij leggendo i versi di Blok, Eisènin, Majakovskij e Pasternak.
Valerj Shadrin fece tradurre in Cirillico “Il teatro senza spettacolo“, un testo teatrale con interventi dei maggiori critici del teatro di Carmelo Bene, in una veste di lusso e la fece distribuire in tutta l’Unione Sovietica al prezzo promozionale di due rubli a copia in Omaggio a Carmelo Bene.
La collaborazione con i Russi creò delle ostilità ma anche non pochi problemi giudiziari tra l’E.T.I. Ente Teatri Italiani che si consideravano offesi da parte di Carmelo Bene per questa sua collaborazione con i Russi.
Carmelo Bene rispose alle ostilità sulle pagine de Il Messaggero e La Repubblica contro il Ministero dello Spettacolo e il Teatro Stabile di Roma.
Questo quello che denunciò: “… Oggi lo Stato dello Spettacolo è in mutande, per sopravvivere a ogni costo minaccia contributi e sovvenzioni (a una marea indiscriminata di sfaccendati che – “quasi nessuno escluso – può giovare al teatro in un solo modo: togliendosi di mezzo: disoccupandosene) …”
Ma già, ancora prima degli anni settanta, Carmelo Bene insieme a Dario Fò e Eduardo De Filippo avevano avviato una battaglia culturale – legale, con denunce scritte, invocando la chiusura del Ministero del Turismo e dello Spettacolo.
“… L’abbiamo rimproverato di non trascurarci abbastanza …” Scrivevano allora i tre Artisti. (Lo Stato si occupa della mediocrità culturale).
Presenta “La cena delle beffe“ di Sem Benelli al Teatro Carcano di Torino, Pantesilea al Castello Sforzesco di Milano, va in televisione nel 94 e nel 95 alla trasmissione “ Uno contro tutti “ di Maurizio Costanzo Show.
Nel 1994 presenta Hamlet Suite al Festival Shakesperiano al Teatro Romano di Verona.
Nel 1995 esce nei Meridiani Bompiani, Opere, con l’autografia d’un ritratto.
Pubblica il Poema “Il mal dè fiori.“
Il 16 Marzo del 2002 muore a Roma nella sua casa di Via Aventina, torna all’inorganico per dirla con lo stesso Bene, assistito dalla sua compagna, Luisa Viglietti, con cui viveva da nove anni.
Dopo il funerale in forma privata per sua volontà, il suo corpo viene cremato e le sue ceneri furono portate nella tomba del Cimitero di Otranto.
Roberto Bellassai