“Ma in Italia basta voltarsi un attimo e non si è più. Non si è più stati“. E’ una frase di Carmelo Bene, di un singolare e poliedrico attore di teatro del Novecento italiano, che aveva previsto il suo quasi totale oscuramento soprattutto in Italia.
Da dieci anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 16 Marzo 2002, tutti i suoi atomi di cui era costituito, sono tornati ad alimentare l’universo da dove era venuto, per divenire il soggetto realmente libero che è stato.
Un Bene, che oltre ad avere individuato e disindividuato se stesso, ha attraversato dinamicamente se stesso, con tutti i suoi doppi e i suoi opposti, facendo a pezzi i testi teatrali, eliminando tutto ciò che fa potere, inserendo ad esempio, nell’Amleto, pezzi di opere di Jules Laforgue, e di altri autori, disfacendosi dell’attore, del teatrino dell’io, divenendo un “ operatore “ per dirla con Deleuze, C.B., o macchina attoriale, frequentando sulla scena l’Amleto, infinite volte, e sempre ogni volta, una frequentazione diversa, così anche per l’Otello, per Majakovskij, Giulietta e Romeo, Pinocchio, S.A.D.E., Macbeth, Riccardo III, Don Chisciotte, Lorenzaccio.
La sua scrittura di scena, ribalta il tempo Kronos, in tempo Ajon, da questa dimensione la sospensione del soggetto diviene inevitabile, di conseguenza ogni sua lettura esce fuori da ogni canone del dire o di come dire, infatti C.B., non dice, ma “ disdice “ la parola con una dizione bisbigliata, balbettante o deformata, con suoni appena percettibili oppure assordanti, trasformandola in suoni, in colori, una “ voce operativa ” , che si apre a una dimensione arteriosa, e a una variazione continua del linguaggio, creando l’evento sulla scena, ” fondando esistenza!” Nel 1981, un anno dopo la strage alla Stazione di Bologna, dalla Torre degli Asinelli, davanti ad un oceano di persone, legge la Lettura Dantis, per ricordare quella orrenda strage che fece 85 morti, e 200 feriti.
La sua costante creatività, lo portò ad affrontare la lettura de I Canti di Giacomo Leopardi, e I Canti Orfici, di Dino Campana, una lettura come oblio di sé, come depensamento.
In anni precedenti, dal 1968 al 1973, per il Cinema, gira Nostra Signora dei Turchi, Capricci, Don Giovani, Salomè, Un Amleto in meno, con la partecipazione della bravissima attrice e compagna, Lidia Mancinelli. Un cinema, che sfugge al figurativo, che rifiuta la narrazione, che libera il pensiero dalle forme linguistiche della tradizione ossificata. Poi, presentò in TV, un lavoro sui poeti russi, dal titolo: “ Bene, quattro modi di morire in versi “ . Con letture di Majakovskij, Blok, Esenin, Pasternak.
L’incontro con Gilles Deleuze, che scrive, “ Un manifesto in meno “ , un saggio con una risposta di Bene, pubblicato con Feltrinelli, dal titolo: Bene / Deleuze / Sovrapposizioni – fa conoscere Carmelo Bene in Europa, e nel Mondo.
In passato, erano stati critici, come ad esempio, Chiaromonte, Flaiano, Arbasino, Pasolini, Moravia, Oreste Del Buono, Goffredo Fofi, Enrico Ghezzi, Maurizio Grande, a scrivere articoli, saggi sul suo teatro, a cui si aggiungono altri critici, come, Klosswoskij, Derrida, Jan Paul Manganaro, Cosetta Saba Sardi, Piergiorgio Giacchè, Paola Boioli, ed altri.
Un’altra sua frase che ci piace citare in risposta ad una domanda di Giuseppe Bartolucci, che in una intervista del passato, tra l’altro, gli chiede: Cos’è teatro? e C.Bene, risponde: “ Teatro è uno sciopero di coscienza nella dimensione che l’ozio ha saputo inventare “ .
Nel 1995, nei Classici Bompiani, vengono pubblicati tutte le sue opere di narrativa e di saggistica, con l’autografia di un ritratto.
Quelle opere scritte, che per lui erano il funerale dell’orale!
Roberto Bellassai