L’isola di Manzanilla era stata scoperta nel 1502 dal capitano Consalvo Hinalga y My-cojones di Tarragona.
La sua nave, la “Nueva India”, stava andando alla deriva per mancanza di vento, con 135 uomini, quando si arenò a un’ottantina di chilometri a ovest di Santa Caterina: l’isola si presentava molto bella, ricca di vegetazione, con numerose sorgenti e ruscelli d’acqua potabile e provvista di alcune insenature sicure, al riparo delle frequenti tempeste tropicali.
Ai primi contatti, la popolazione locale si manifestò pacifica e cordiale e le donne belle, bene in carne e . . . molto disponibili.
Santa Caterina fu una delle prime città a essere edificata sulla costa . . . il nome le fu attribuito perché nel giorno della posa della prima pietra si festeggiava quella particolare Santa . . . per circa due secoli fu uno dei più importanti porti dell’isola e mantenne con la madre patria fiorenti scambi commerciali.
Nel 1689 la città fu completamente distrutta dal pirata francese Jean Perrigret, detto “El Pirana”, il quale con due navi da “corsa”, eludendo tutte le sorveglianze, in una notte senza luna sbarcò con più di trecento uomini e, conoscendo la parola d’ordine fornitagli da un traditore, tale Judas Treintapesetas, riuscì a farsi aprire le porte della città, mettendola a ferro e a fuoco … dopo averla spogliata di ogni ricchezza e violentato tutte le donne in grado di respirare . . . massacrarono gli uomini che si erano arresi, escludendone 400 che vendettero come schiavi e infine, prima di ripartire, incendiarono ciò che rimaneva della città, comprese le 18 chiese e monasteri, orgoglio dei suoi cittadini.
Quando, finalmente giunsero i soccorsi, provenienti dalla capitale Babylone, trovarono solo rovine fumanti e decine di cadaveri in pasto agli uccelli.
La città fu ricostruita a sette chilometri dal mare, su una collina alta 256 metri, dominante tutta la baia e fu eretta più bella di prima, senza lesinare mezzi e denaro, ottenendo un’ottima fusione tra lo stile coloniale e il barocco spagnolo, comprese le 18 chiese, alle quali fu ridato il medesimo nome di quelle distrutte.
I1 Vicerè donò nuovi possedimenti, che dai confini della città si spingevano in profondità verso all’interno dell’isola, distribuendoli fra tutti i nobili che l’avessero scelta come futura dimora … concedendo, inoltre, l’esenzione su dazi e tasse, per cinquanta anni, a tutti gli artigiani, commercianti, scrivani, carrettieri e studiosi che avessero aperto un’attività o vi si fossero trasferiti con la famiglia … anche un pezzo di terreno ove costruirvi l’abitazione.
In breve la cittadina raggiunse le 20.000 presenze con una punta di 40.000 agli inizi del ‘900 . . . per scendere, poi, agli attuali 32.000.
Durante la ricostruzione, per rimpinguare l’esigua popolazione femminile, furono importate dalla madre Spagna oltre 400 donne fra prostitute e ladre, detenute nelle carceri dell’impero e graziate dalla giustizia spagnola per questa loro . . . scelta patriottica!
L’ottimo clima e l’abbondanza di acqua, permise il rapido sviluppo della produzione della canna da zucchero e del cacao . . . vennero impiantati grandi giardini con alberi da frutta e vivai di ortaggi .. . sul mare si sviluppò anche una piccola e fiorente attività di pesca … tutto questo aumentò sensibilmente la ricchezza ai nobili proprietari terrieri ed ai numerosi commercianti ed artigiani che vi risiedevano.
Solo verso la metà dell’800, la ribellione dei grandi proprietari terrieri verso il dominio della madre Patria e sfociata con la successiva indipendenza . . . provocò un lento declino, soprattutto a causa della difficoltà a rimediare nuovi schiavi come mano d’opera e la sempre più forte concorrenza dello zucchero da barbabietola, coltivata in Europa, che costrinse diverse famiglie nobiliari a trasferirsi al nord dell’isola, alla capitale, ove si stavano sviluppando nuove attività commerciali, che comunicavano col continente Sudamericano e si progettava una nuova società industriale, la quale, necessitava di manodopera operaia specializzata.
Santa Caterina, per un certo periodo, mantenne il suo stato di città ricca, piena di personaggi e figure illustri e le grandi famiglie, ancora rimaste, le fecero rivivere un’ultima stagione d’oro, poi lentamente sulla città calò, prima il torpore, infine l’oblio e ora vegetava, rinvangando i vecchi ricordi.
Nell’ultimo decennio, l’isola era diventata una delle mete preferite del turismo internazionale: le splendide spiagge bianche, i magnifici fondali pieni di coloratissimi pesci e le cittadine ricche di storia e di folklore attiravano, anche per la valuta dal cambio favorevole, un numero sempre crescente di viaggiatori . . . solo Santa Caterina seguitava a non riuscire a beneficiare di questa nuova stagione d’oro, nonostante che le sue spiagge fossero tra le più belle dell’isola, le sue baie tranquille avessero tutto l’incantesimo dei Carabi ed i palazzi, le chiese, i monumenti e i vicoli pieni di fascino e di storia, potessero attirare l’interesse degli stranieri.
I locali, esclusi una minoranza della ricca borghesia che aveva investito denaro in complessi turistici, guardavano ai turisti, quasi con fastidio e non facevano nulla per sfruttarne la potenzialità economica e continuavano a occupare stabilmente le panchine delle loro belle piazze, in eterne polemiche e futili recriminazioni, con l’utopistica speranza che la nobiltà si risvegliasse dalle tombe e riprendesse a curarsi di loro, dei loro bisogni e del loro futuro.
In attesa, di questo impossibile miracolo, vivevano di assistenzialismo o di precari e inutili lavori al servizio delle varie amministrazioni locali che si susseguivano, in cambio di voti elettorali che nutrivano il potere di un’incompetente e vorace classe politica.
Il turista denominato “mordi e fuggi” arrivava sui pullman delle agenzie turistiche provenienti dalla capitale e scaricato, al seguito di una frettolosa e spesso incompetente guida, nel giro di un paio d’ore visitava i bellissimi monumenti, i palazzi storici, i giardini fioriti . . . acquistava oggetti e souvenirs di alcun valore e non identificabili con l’artigianato locale … consumava una bibita, un gelato o al massimo un panino e infine rimontava sui pullman per essere trasportato a soggiornare nei complessi turistici delle città vicine.