Enzo Papa, scrittore, saggista, traduttore, critico d’Arte, nel 2011, per il 150 anniversario dell’Unità d’Italia, ha pubblicato il romanzo “La Città dei fratelli”, Lombardi Editori, già pubblicato nel 1983 e nel 1989, 158 pagine con una appendice documentaria e con delle illustrazioni del Pittore Piero Guccione.
Un Romanzo storico – letterario che ha per scenario una Italia storicamente divisa in otto statarelli, con il Regno delle due Sicilie in cui i Borboni esercitavano il loro potere incontrastato.
In particolare vengono narrati i fatti e le gesta del periodo del Risorgimento accaduti nella Città di Noto, del Maggio del 1860, quando il Generale Giuseppe Garibaldi con i Mille sbarcò l’11 Maggio a Marsala per liberare il popolo siciliano sfruttato e reso schiavo dai Borboni dai nobili feudatari, dai borghesi e dai gabelloti mafiosi.
La sua avanzata nelle Città siciliane accese gli entusiasmi del popolo, soprattutto dei gruppi rivoltosi e dei rivoluzionari che in precedenza si erano ribellati contro i Borboni nel 1848, ma anche, a più riprese in Aprile e nel Maggio del 1860, nei Paesi come Calatafimi, Salemi, Palermo, Regalbuto, Cefalù, Villabate, Carini, Messina, Biancavilla, Adernò, Randazzo, Catania e soprattutto Bronte, Città dove esplose l’odio di classe contro i Gattopardi latifondisti, i borghesi e i Borboni, in cui un gruppo di rivoltosi, guidati da Calogero Gasparazzo che, dopo avere ucciso delle guardie Borboniche, diedero fuoco a dei Palazzi con dentro Gattopardi e Borghesi, facendo sedici morti tra guardie, latifondisti, Borghesi e gabelloti, mentre cinque dei rivoltosi vennero condannati a morte e fucilati per ordine di Nino Bixio.
Subito dopo la conquista di Palermo, Garibaldi si autoproclamò Dittatore di Sicilia.
Nella Città di Noto si formarono due Comitati, il primo faceva riferimento a Mazzini e a Garibaldi, composto dal Dott. Lucio Bonfanti, membro del Comitato Regionale ed operatore in molti Paesi della Sicilia, soprattutto nella Provincia di Siracusa, con i suoi due fratelli, Pietro e Nino, i fratelli Catera, Vincenzo e Antonio e da contadini, artigiani, braccianti, e alcuni studenti.
Il secondo Comitato era composto da vecchi Gattopardi latifondisti, dai Cannicarao, dai Castelluccio, dai Landolina, dai Nicolaci fedeli ai Borboni, d’un tratto divenuti unitari per calcolo e convenienza e dei borghesi liberali, di cui faceva parte Matteo Raeli, che si trovava in esilio a Malta, da dove scriveva informando il gruppo.
Il Comitato coordinato da Catania dal Medico Omeopatico, Lucio Bonfanti – che studiava a Catania con il dott. Giuseppe Migneco, un Medico Omeopatico e guaritore di fama internazionale, definito il piccolo Cagliostro, che poi era l’ideologo del Comitato – con a capo i due fratelli Antonio e Pietro, insieme a Vincenzo e Antonio Catera, con l’avv. Francesco Calvo, Sebastiano Storaci, studente in medicina, Mariano Cultrera, possidente, Francesco Bordonali, Paolo Ducu, falegname, Serafino Randone, cameriere, Rosario Crimi, sarto, Salvatore Cicardo, barbiere, Francesco Manfrè, calzolaio, Luigi Frendo Maltese, sensale, Matteo Mingo, studente, Bartolomeo Dejan, medico, Vincenzo Cataudella, orefice, tutta gente che rappresentava l’avanguardia politica che era consapevole del secolo dei lumi, il 16 Maggio, armati di fucili, pistole e munizioni, capeggiarono la rivolta contro i nobili feudatari latifondisti e i Borboni, partirono dal Piano Alto per una dimostrazione che tendeva a sollevare e coinvolgere lo spirito pubblico locale per rinforzare il Comitato, ed avanzando gridavano: “Abbasso il Governatore” “Abbasso Cannicarao”, “Abbasso gli Sbirri“, “Abbasso l’Autorità“, “Libertà, Libertà“.
Arrivati al carcere, disarmarono le guardie e liberarono i loro compagni, tra questi Agatino Pocarobba, un influente rivoluzionario di Catania, Saverio Puglisi e Gaetano Leone che erano stati imprigionati per reati politici poi proseguirono insieme verso la casa del Commissario, dove trovarono delle armi e diedero fuoco ai Registri facendone un falò, quindi si diressero al Municipio che occuparono urlando a piena voce che la Rivoluzione era cominciata!
La notizia dell’insurrezione si diffuse per tutta la Città.
Pasquale Boscarino, un liberale che aveva seguito e visto tutto da dietro il finestrone semiaperto andò subito a fare la spia ed informare le autorità che si erano già riunite in assemblea, prevedendo l’insurrezione del gruppo di Bonfanti. Fu inviato subito un telegramma al Ministro Segretario di Stato per gli Affari di Sicilia chiedendo un battaglione di truppa in difesa della Città.
Vi fu subito l’intervento dell’Intendente della Provincia che, attenuando l’importanza della rivolta, consigliava agli insorti di smettere l’occupazione del Municipio, promettendo che non ci sarebbe stato nessun provvedimento disciplinare nei loro confronti.
Il gruppo lasciò libero il Municipio ma si divise, infatti alcuni degli insorti passarono con il Comitato del Marchese di Cannicarao, dei Trigona, ecc, ecc.
Il Comitato dei Gattopardi, dei borghesi liberali e del Clero, molti dei quali erano Massoni, con a capo il Cav. Giuseppe Borgia dei Marchesi di Cannicarao, Governatore del Distretto di Noto, carica assegnata da Garibaldi e da Francesco Crispi in data 31 Maggio 1860, erano riusciti a mobilitare buona parte del popolo davanti alla Cattedrale.
La cronaca del tempo parla di alcune migliaia di persone a cui furono distribuite delle coccarde tricolore da agganciare sul petto, per poi dirigersi lungo la strada principale della Città, dove furono collocate delle bandiere tricolore, sia al Municipio che nella statua di Ercole, urlando slogan unitari, inneggiando a Garibaldi e al Re Vittorio Emanuele.
Gli insorti rivoluzionari del Comitato guidati da Bonfanti e Catera, che avevano idee politiche comuniste ed erano per la divisione dei beni materiali e contro la proprietà privata, si resero immediatamente conto che i Gattopardi essendo politicamente ambigui, opportunisti ed ipocriti, avevano fatto una furbata mistificatrice e gattopardesca, aderendo all’unità d’Italia e a Garibaldi, e tentarono di prevenire l’esproprio della rivoluzione da loro iniziata ed ancora in atto, attentando alla vita dei vari capi del Comitato, soprattutto del Comandante della Guardia Nazionale, Don Vincenzo Trigona di Cannicarao.
Il piano dei Bonfanti, dei Catera e dei suoi compagni, purtroppo fallì e i rivoltosi furono tutti arrestati, ma Vincenzo Catera, anche dopo l’arresto mentre entrava in carcere, aggredì il Marchese Trigona di Cannicarao, prendendogli il fucile per ucciderlo ma il colpo andò a vuoto a causa di qualcuno che nella concitazione deviò la canna del fucile.
Era il 22 Luglio 1860.
Nello stesso giorno dell’attentato di Vincenzo Catera si riunì la Commissione speciale, sia per i reati comuni che per quelli militari, ed il giorno successivo furono lette le sentenze che stabilirono il carcere per tutti gli insorti ad eccezione di Vincenzo Catera che fu condannato a morte per fucilazione, stabilita per il 24 Luglio.
Il Presidente della Commissione penale, l’avv. Salvatore Coffa, un liberale Massone, venuto a sapere dell’arrivo a Noto del Generale Nino Bixio fece ritardare la fucilazione del Catera, sperando che Bixio gli potesse concedere la grazia, ma nella riunione tra Bixio e il Comitato dei vecchi Gattopardi, avvenuta nel Palazzo Castelluccio, dopo che Bixio venne informato dei fatti accaduti a Noto, ed ascoltando la sentenza della Commissione, disse: “avete fatto la sciocchezza di condannare a morte solo uno, mentre in tali casi si fan situare tutti a linea e in meno di un’ora se ne fa la festa. “
Il 25 Luglio nel Cortile del Carcere del Castello venne fucilato Vincenzo Catera.
Più o meno sono questi i fatti salienti del ”Risorgimento“ successi a Noto nel 1860.
Si potrebbe dire che i democratici evitando la via rivoluzionaria rimasero subalterni ai Gattopardi, quindi alla vecchia tradizione del potere, così fu fatta “l’unità d’Italia“ ma non l’unità degli Italiani, nè dei Siciliani, una unità gattopardesca che cambiò solo la forma, non i rapporti tra la Monarchia e il Popolo.
Infatti i Decreti di Garibaldi, sulla divisione delle terre da dare ai Contadini e delle promesse fatte di fare giustizia, furono traditi dallo stesso Garibaldi, prima perchè confermò le cariche Istituzionali, sia a Noto, a Bronte e in tutta la Sicilia agli stessi uomini, cioè ai vecchi Gattopardi latifondisti, reggitori dei Municipi che le esercitarono con i Borboni, e dopo con la Monarchia Costituzionale dei Savoia.
Una Unità d’Italia a cui i Notinesi rivoltosi e i rivoluzionari siciliani, pagarono con il carcere e le fucilazioni da parte di Garibaldi, cioè di chi doveva liberarli dallo sfruttamento e dalla schiavitù.
Il Romanzo si apre con una Nota dell’Autore, in cui viene precisato che “La Città dei fratelli” è stato scritto nella seconda metà degli anni settanta, mentre in Italia si dibatteva sui nuovi materiali da usare per scrivere.
Enzo Papa fa riferimento a quel famoso Gruppo 63, alla Neoavanguardia del Novecento che si riunì a Palermo, molto critica nei confronti delle opere letterarie che fanno riferimento ai modelli tradizionali del Neorealismo, Scrittori, Critici, Studiosi, Ricercatori che sperimentarono nuove forme di scrittura, sia riguardo la forma che il contenuto, ma soprattutto crearono nuove forme di libertà espressiva, nuovi linguaggi, di conseguenza una scrittura non venosa, per dirla con Vittorini.
“La Città dei fratelli” è un Romanzo sulla scia del realismo storico di Verga, De Roberto, Sciascia, Consolo che fa riferimento al passato, alla memoria storica di un passato che si collega al presente, alla letteratura di impegno culturale, politico e sociale in cui la scrittura, oltre a basarsi sui fatti razionali della realtà, si fa arteriosa, manifestandosi sia con il dialetto popolare, le tavole di Guccione, con l’intercalare dei proverbi, dei detti siciliani, con l’inserimento di lettere, che diventano insieme all’ appendice documentaristica, riferimenti narrativi storici che testimoniano i fatti successi nel contesto del tempo.
Un Romanzo quello di Enzo Papa, in cui sono intervenuti per recensirlo le firme più autorevoli di Scrittori e Critici, come, ad esempio, Gesualdo Bufalino, Vincenzo Consolo, Antonio Di Grado, Natale Tedesco, Sebastiano Addamo, Giuseppe Bonaviri, Giuseppe Zagarrio, Giuseppe Savoca, Roberto Cerati.
Roberto Bellassai
Se c’è un libro che i veri Netini dovrebbero e debbono avere sempre al “capezzale” dei loro studi, quello è questo recensito da Roberto Bellassai sulla terza edizione de LA CITTA’ DEI FRATELLI di ENZO PAPA!
Il quale mi preannuncia che, a giorni, sta per uscire la quarta edizione dello stesso presso l’Editore Bonanno di Roma/Catania che, lo ritengo necessario e doveroso, sarà a breve ri-presentato nella giusta “cornice culturale” che merita: specie in tempi, come i nostri, in cui la metafora di Noto Città dei Fratelli ci obbliga tutti a “ri-meditare” scelte ed alleanze locali, regionali e nazionali, eterni Gattopardi permettendo!
Asti, 19 Febbraio 2020 – Biagio Iacono
Ciao, Biagio, a Noto faremmo culturalmente e politicamente dei passi in avanti se i Netini leggessero questo Romanzo di Enzo Papa, che rispolvera la ” Memoria Storica ” di un periodo importante per Noto,per la Sicilia e il Bel Paese. Una Noto che ancora dorme sotto ogni aspetto,dormono soprattutto coloro che hanno strumenti tecnici e culturali,che dovrebbero dare l’esempio della pratica della cultura civile, denunciando apertamente quello che succede nel Palazzo! Diventano invece organici alla politica del Palazzo,alimentando il rovescio della ragione e delle regole.