In astronomia è da secoli e secoli che si vagheggia dell’esistenza almeno di un decimo pianeta del nostro sistema solare. Nibiru per la cosmologia sumera, Nemesis, TsES-2b, chiamatelo come volete, la sua caretteristica principale è che tutto attorno a lui le leggi della fisica fanno pensare alla sua esistenza, ma in effetti esso è invisibile, pur essendoci. Indizi, ma non prove definitive.
Proviamo ora ad applicare questo scampolo di approccio cosmologico alla vicenda dell’acqua. Piccolo riassunto delle puntate precedenti per gli spettatori ordinariamente distratti.
Verso la fine di novembre del 2013, la SAI8 S.p.A. fallisce e, invece di interrompere la sua attività, come sovente avviene in questi casi, la curatela chiede ed ottiene il cosiddetto “esercizio provvisorio” (guardate l’intestazione delle bollette che vengono recapitate in questi giorni). Ciò significa che l’insieme dei mezzi di produzione dell’azienda ormai fallita (dipendenti, beni materiali e immateriali), decapitati del management originario e oggi sostituito dal collegio dei tre curatori nominati dal tribunale, non viene disperso definitivamente, ma continua ad esistere nell’attività “provvisoria” di gestione del servizio idrico integrato “a favore” dei famosi 10 comuni “responsabili” sul totale dei 21 della Provincia. Tanto per intenderci: Siracusa, Augusta, Lentini, Priolo, Solarino, Buccheri, Floridia, Pachino, Portopalo e, ovviamente, Noto.
Il nodo cruciale è il termine “provvisorio”. Ricordiamo che la curatela di un fallimento, ha come compito essenziale, se non unico, quello di salvaguardare gli interessi dei creditori. Che nel caso specifico, il fallimento nel suo insieme, ormai viaggia su cifre almeno intorno ai 90 milioni di euro di debiti. Un esercizio provvisorio comporta, ovviamente, dei costi che, sempre nell’ottica della salvaguardia degli interessi dei creditori, devono essere giustificati dalla possibilità a breve termine di comportare comunque un incremento dell’“attivo” del fallimento e/o far sì che vengano ridotte o eliminate voci che riguardano il “passivo” del fallimento. Una cosa è certa, l’esercizio provvisorio non può indiscriminatamente intaccare l’ “attivo” disponibile in virtù di considerazioni di opportunità politico-sociale. Nessuna beneficenza, trattasi di “bisinés” e nient’altro, questo teniamolo bene a mente.
Allora, perché continuare imperterriti in una attività “provvisoria”, che a detta degli stessi curatori, comporta mensilmente più di 500 mila euro di perdita netta, assottigliando mese dopo mese, inesorabilmente, quel famoso “attivo” a cui i creditori non possono di certo rinunciare? In pratica, almeno apparentemente, contro la stessa ragione di esistere della curatela? Evidentemente manca qualche fattore decisivo che ci sfugge. Qualcosa che possa giustificare, agli attenti occhi dei creditori che verranno formalmente consultati agli inizi del prossimo mese di marzo, il galoppante depauperamento della loro torta da spartire. E deve essere per forza una giustificazione non da poco, considerato anche che la curatela si sta anche adoperando nel risanamento di una gestione che non avrebbe alcun motivo di puntare ad un orizzonte finale distante.
Evidentemente qualcosa ci deve essere. La gestione dei soldi, almeno a questi livelli, è così elementare. Se io devo ottenere un saldo attivo, non è detto che debba averlo immediato, ma devo essere “ragionevolmente” sicuro di ottenerlo entro un termine “accettabile”. E il saldo attivo dovrebbe darmelo la gestione sana del servizio? Proprio non credo. Ammesso di riuscire a tagliare rami secchi, ottimizzare i costi, riuscire a convincere gli utenti a ritornare a pagare, ecc., ecc., prima di riportare in attivo il tutto occorrerebbero troppi mesi e con un rischio di insuccesso (il cosiddetto “rischio d’azienda”) veramente inaccettabile per i creditori.
E quindi, come giustificare questa apparente pervicacia autolesionistica? Se torniamo alla iniziale digressione cosmologica, sembra proprio di essere in presenza di un indefinito fattore “oscuro”, non per la curatela ma per l’ignaro cittadino medio e, c’è da pensarlo, anche per i suoi amministratori. Tutto fa pensare che questo decimo pianeta, questo Nibiru, esista veramente, ma nessuno di noi astronomi a livello amatoriale, ne vede i contorni. E allora arriviamoci per pura logica e sfruttando quel po’ di informazioni ad oggi trapelate.
Si è parlato da più parti, anche da quella della curatela, della possibilità di ricorrere al cosiddetto “affitto del ramo d’azienda”, cioè l’affidamento temporaneo a terzi, a titolo oneroso, dell’attività (comprensiva dei dipendenti SAI8), al momento, svolta in regime di “esercizio provvisorio” direttamente dalla curatela. Se rimaniamo nella logica del recupero delle perdite ad oggi accumulate, questo affidamento non può avvenire a favore del consorzio dei comuni, perché non sicuramente in grado, né intenzionati, ad andare a ripianare le perdite milionarie di questi mesi della curatela.
Resta solo la possibilità che questo pianeta oscuro sia un soggetto privato, economicamente forte, che “ci veda” nell’affare e che si possa assumere, nei limiti del classico “rischio di impresa”, gli oneri di un subentro sicuramente oneroso e di un orizzonte temporale per ottenere dei sani ricavi, che obiettivamente al momento appare troppo stretto, “too close” direbbero gli anglosassoni. Si è parlato insistentemente di “Caltacqua” (Acque di Caltanissetta S.p.A.), gestore dei 22 comuni del nisseno (280.000 abitanti) dal 2006, e società partecipata e guidata dalla multinazionale spagnola “Aqualia” (del gruppo europeo FCC), la terza più grande società di gestione dell’acqua al mondo, presente, oltre che in Spagna e Italia, anche in Algeria, Egitto, Messico , Portogallo, Cina e Cecoslovacchia (www.aqualia.es).
Ma in cosa verte la trattativa in corso? Di certo non sull’affitto del ramo d’azienda, almeno non principalmente. E’ evidente che curatori e manager di Caltacqua guardano più lontano. L’ affitto del ramo d’azienda, potrebbe essere il “cavallo di troia” per prendere definitivamente posizione nella nostra provincia. A noi, umili mortali, è veramente poco chiaro come ci possano essere ragionevoli sicurezze in quest’affarone rispetto ad un seguito in cui, in qualche modo, il contratto trentennale, attualmente pluri-revocato, possa essere non solo riesumato, ma anche “trasmesso” al nuovo soggetto acquirente.
Una acquirente, è bene sempre ricordarlo, rigorosamente privato, senza alcuna traccia di pubblico. “Public free” o anche “no public frills” direbbe spiritosamente il nostro amico anglosassone.
Eppure, se la trattativa sulla vendita con annessa copertura di perdite dovesse continuare, qualcosa di grosso che ci sfugge ancora deve esistere. Occhio ai telescopi, direi l’undicesimo pianeta.
Precisino