La Casa Editrice Garzanti, ha pubblicato il libro: Pier Paolo Pasolini. Il mio calcio, nella Collana I piccoli e grandi libri Garzanti, con la prefazione di Gabriele Romagnoli.
Si tratta di articoli e di interviste pubblicati nei quotidiani e nei settimanali, che vanno dal 1956 al 1975, in cui Pasolini, un Poeta non solo in versi, sostiene che “il calcio è un linguaggio”, quindi “un sistema di segni”, ed anche “un oppiacio terapeutico”, “l’ultimo grande rito”.
Per lui che da dilettante giocava nel ruolo di ala destra, “che già vuol dire mettersi di lato, lavorare di fantasia, cercare il senso, per porgerlo agli altri”, scrive Gabriele Romagnoli nella prefazione del libro.
Cominciò a giocare al calcio sin da ragazzo nelle Piazzette come tutti, poi nelle squadre Universitarie, nei campi periferici di Roma in incontri tra Scrittori e la Borgata romana Donna Olimpia, ed anche in tornei tra Scrittori e Cantanti.
Lui che amava il calcio, che trovava analogie con la sua Arte, con la letteratura, pur essendo il calcio “parlato con i piedi”, in questo piccolo libro ci parla di alcuni giocatori del passato come, ad esempio, Giacomo Bulgarelli che “giocava un calcio in prosa: è un prosatore realista”, Gianni Rivera è un “prosatore poetico” e Gigi Riva “un poeta realista”, “come la poesia è un’invenzione, come ogni goal è sempre un’invenzione, è una folgorazione, stupore, irreversibilità, sovversione del codice, anche il dribbling è di per sè poetico”.
Ad esempio, definisce il calcio brasiliano “un calcio di poesia, impostato sul dribbling e sul goal”. Una danza si potrebbe anche dire. Oppure, il catenaccio e la triangolazione, che il Giornalista sportivo Gianni Brera, (chiamava geometria ), il modulo di gioco della Nazionale Italiana, fino ai suoi tempi, “è un calcio di prosa” basato sul calcio collettivo e organizzato: cioè sull’esecuzione ragionata del codice, in cui il suo solo momento poetico è il contropiede con l’annesso “goal” – il momento individualistico dribbling e goal; o passaggio ispirato.
Un Pasolini sempre dalla spiccata singolarità poliedrica, che spaziava da un campo all’altro della cultura, che oltre a vivere poeticamente la sua vita in un Paese come l’Italia in cui il concetto di cultura continua ancora ad oggi ad avere infiniti deficit, disse apertamente che “il calcio ha una funzione reazionaria e di asservimento al Potere”, ed aveva intuito già nel 1956, che “il fattore economico era la radice della decadenza del calcio e dello sport, e che ne avrebbe distorto il senso”.
Alcune considerazioni non sul calcio di Pasolini, ma sul calcio di oggi, in particolare quello visto nel Campionato Europeo, che si è concluso con la finale tra l’Inghilterra e l’Italia, finale vinta dall’Italia ai rigori.
Leggendo questo libro di Pasolini ho cercato un riferimento con l’oggi calcistico, in particolare in Italia, e pensando all’attuale Nazionale Italiana, ed in particolare al Campionato Europeo, dopo avere visto vari incontri, non solo degli Azzurri, non potevo non pensare a uno dei concetti critici sul calcio di cui parla Pasolini, cioè che “il calcio ha una funzione reazionaria e di asservimento al Potere”.
Al di là del risultato ottenuto dagli Azzurri di Roberto Mancini, di un bravo Allenatore, che ha saputo gestire con abilità una squadra, facendone un collettivo unito e affiatato, ma a parte l’avere vinto il Campionato Europeo, che soggettivamente fa piacere, obbiettivamente abbiamo assistito ad un calcio tecnicamente mediocre, sia dell’Italia, che delle altre Nazionali, a parte il record assoluto di imbattibilità per 34 partite consecutive, la squadra mostra dei limiti sia sotto l’aspetto della tenuta atletica, che tecnica, chiaramente molto lontana dal gioco costruttivo delle Nazionali degli anni settanta e ottanta.
Infatti, oggi potremmo parlare di giocatori che sono dei “manovali della sfera”, pagati profumatamente, per dirla con un altro Artista, che accostava il calcio al Teatro, cioè Carmelo Bene, perchè vedere un calcio che si limita a distruggere il gioco basato fin troppo sul “pensiero calcolante” e non sull’invenzione e sulla creatività, infatti, non si sono visti quei passaggi millimetrici e smarcanti, ad esempio, che sapeva fare Roberto Baggio, in cui l’attaccante scattava, stoppava la palla, dribblando e facendo goal, invece abbiamo visto spesso i passaggi indietro tra difensore e difensore, con quasi regolare e sistematico passaggio indietro al proprio portiere, non solo della Nazionale Italiana, ma di tutte le Nazionali; non si vedono più talenti, fuoriclasse, ma si vediamo giocatori che spesso non sanno nemmeno stoppare la palla, che si danno gomitate, spintoni, si fanno sgambetti, si cinturano e si fanno delle plateali trattenute sistematiche in area di rigore, gli atterramenti, gli interventi da dietro, le tirate di maglie, le manate in faccia, tutti comportamenti che non hanno niente a che fare con il calcio giocato, facendo un non gioco, che si limita a stancare e spompare fisicamente l’avversario, un gioco di forza fisica, in cui è prevalente l’aspetto meccanico del giocatore e della squadra, che sottrae al calcio la sostanza, la bellezza, la sportività e le qualità come ad esempio, l’immaginazione, l’imprevedibilità, la folgorazione, la generosità, l’altruismo, l’individualismo sano, la sospensione dell’attimo, la sovversione, e la dovuta emozione per chi lo segue con passione , riducendo il gioco del calcio di oggi, a un gioco divenuto sempre più mediocre, anche per la strumentalizzazione che ne ha fatto e che continua a fare il Potere politico, di conseguenza l’industria del calcio diviene sempre più l’interfaccia dello Stato e dei Governi, che utilizzano ogni mezzo per distrarre e alienare le masse, a causa anche di una Nazionale di calcio, che non ha un’etica e una autonomia da rivendicare, ma che riflette la miseria culturale del Potere economico e politico del Mercato Capitalista, che utilizza tutto come immagine e merce.
ROBERTO BELLASSAI