Il Pd si divide e non è una notizia. L’elemento nuovo è che il testo sulle riforme istituzionalialternativo a quello varato dal governo, proposto dalla sinistra del Pd, accoglie ora il favore delMovimento Cinque Stelle. Una mossa politica per aggravare le divisioni interne al Partito democratico e per indebolire il presidente del Consiglio Matteo Renzi che – in sintonia con il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi – negli ultimi giorni aveva parlato di eventuale “autosufficienza” in caso di rottura del patto con Forza Italia. Il tema diventa tutt’altro che secondario, quindi, anche per il governo come confermano le parole del ministro dell’EconomiaPier Carlo Padoan che alla Cnn sottolinea come la riforma del Senato e le altre sulle Province ”vedono molti interessi politici in ballo, ma sono anche viste come una svolta decisiva. Se non passano sarebbe molto, molto grave per il Paese”. “Certamente l’opposizione alla spinta riformatrice è il segnale che si va nella giusta direzione. La sopravvivenza (del governo, ndr) dipende dall’intensità della spinta” a fare le riforme. Così ora i senatori renzianissimi (Andrea Marcucci) e renziani dell’ultima ora (Nicola Latorre) chiedono ai colleghi della minoranza di ritirare il proprio disegno di legge costituzionale.
Si tratta di un testo firmato dall’ex ministro per le Riforme Vannino Chiti e sostenuto – tra gli altri – dai cosiddetti “civatiani“, da Corradino Mineo, da Massimo Mucchetti. In tutto una ventina di parlamentari. Prevede, tra l’altro, un’elezione diretta, su collegi regionali, dei futuri 106 senatori oltre che un taglio consistente ai seggi della Camera (che invece resterebbero intatti nella proposta di Renzi). “Faremo un’altra assemblea” annuncia il capogruppo del Pd al Senato Luigi Zanda, a confermare che la situazione è tutt’altro che superata. Mineo si spinge oltre e su twitter immagina una votazione congiunta M5S e Pd.
Abbiamo votato con #M5S la decadenza di #Berlusconi, perché non dovremmo provare a votare insieme le riforme istituzionali? @pdnetwork
— Corradino Mineo (@CorradinoMineo) 8 Aprile 2014
“Quello presentato da Chiti al Senato è di fatto il nostro testo, ad eccezione di una questione che riguarda il taglio delle indennità. Ma su tutto il resto non possiamo non essere d’accordo visto che ricalca la nostra proposta” dichiara il capogruppo dei Cinque Stelle a Palazzo Madama Maurizio Santangelo. “Ci stiamo ragionando – aggiunge -, ma sì, credo proprio di sì”. La conferma arriva anche da un ex capogruppo dei grillini a Palazzo Madama, Nicola Morra.
Il primo dato è che questa mossa potrebbe mettere in difficoltà Renzi, alle prese con i numeri ballerini del Senato. La spina nel fianco della minoranza del Pd non è l’unico ostacolo al percorso del disegno di legge approvato in consiglio dei ministri. Ci sono le tentazioni di far saltare il tavolo da parte di Forza Italia. C’è la difficoltà di tenere insieme la maggioranza di partitini che sostengono il governo. La situazione è delicata nell’Aula di Palazzo Madama e il via libera del M5s alla proposta di Chiti potrebbe essere un colpo strategico che può mettere in difficoltà il presidente del Consiglio e i suoi progetti. E infatti lo scontro dentro al Pd non tarda ad arrivare. I renziani partono all’attacco: “Condivido totalmente l’appello lanciato in assemblea dal senatore del Pd Nicola Latorre di invitare Chiti e gli altri firmatari a ritirare la loro proposta di riforma costituzionale – afferma Andrea Marcucci – Li invitiamo ufficialmente a fare emendamenti al testo del governo”. Ma Corradino Mineo ci crede: ”Abbiamo votato con M5S la decadenza di Berlusconi, perché non dovremmo provare a votare insieme le riforme istituzionali?”. E rilancia: “Noi il nostro ddl costituzionale non lo ritiriamo. Resta lì sul tavolo. Ma non vogliamo spaccare il partito. Stiamo solo cercando di dare il nostro contributo”.
In mattinata si è tenuta una riunione dei senatori Pd sulla riforma del Senato e del Titolo V. Secondo quanto ricostruisce l’agenzia politica Public Policy gran parte del gruppo Pd si è trovato d’accordo per apportare modifiche al testo del disegno di legge varato dal governo. Le modifiche però, precisa una fonte, non riguarderanno i paletti posti da Matteo Renzi: quindi nessuna indennità per i senatori, che non voteranno più né la fiducia né il bilancio e nessuna elezione diretta per il Senato. “Le difficoltà e le contraddizioni interne a molti dei gruppi presenti in Senato – ha detto in una nota il capogruppo Pd Luigi Zanda – spingono le senatrici e i senatori del Pd a un supplemento di responsabilità in termini politici e parlamentari. Pertanto l’obiettivo del gruppo del Pd al Senato deve essere da una parte tenere ferma la data del 25 maggio come scadenza ultima di approvazione in prima lettura della riforma del Senato. In sintesi rispetto dei tempi e unità. Abbiamo tenuto già tre assemblee, oggi la quarta, continueremo il nostro dibattito interno nel modo più approfondito possibile. Però presto, molto presto, dobbiamo arrivare a una posizione unitaria”. Certo è che una parte del Pd (circa 22 senatori, tra cui alcuni civatiani) non è d’accordo – dice uno di loro – “con la decisione di apportare al testo solo mini modifiche. Alcuni paletti dell’accordo con Berlusconi vanno cambiati”.
www.ilfattoquotidiano.it