“Quando vedete nespole piangete”, recita in dialetto un nostro adagio, “esse sono l’ultimo frutto dell’estate”. Nella cultura popolare un distillato di saggezza che invita a diffidare dell’abbondanza, spesso, troppo spesso effimera, e ne trae prudente monito per non perdere di vista la misura e la parsimonia.
In una Noto presa d’assalto da un turismo insostenibile, il cui sviluppo non è supportato ancora da strumenti, programmazioni, servizi e regolamenti che ne assicurano la fruizione senza caos e senza abusi (PRG; Piano spiagge, Piano di gestione della Riserva e Pre-riserva, adeguamento della capacità del depuratore all’aumento della popolazione estiva, aree urbane destinate a parcheggi, solo per citare qualche mancanza), questo detto popolare torna purtroppo in mente, sorge da un fondo di coscienza collettiva che una rumorosa, caotica e godereccia estate non riesce a tacitare.
Torna purtroppo in mente l’adagio assistendo, giorno dopo giorno, alla depredazione del nostro paesaggio rurale minacciato da un’espansione edilizia che ne sta cancellando l’identità.
Basta fare un giro per notare come su ogni cima di collina, dove prima vi erano resti di antiche masserie, ville rurali cinte da muretti a secco di una bellezza commovente, ricoveri per le greggi, stalle, accanto ai pochi esempi di riqualificazione e valorizzazione corretta del patrimonio edilizio rurale, oggi la volgarità del cemento si accampa e si fa largo con tanto di piscina e spianate per parcheggi.
Non abbiamo del paesaggio, soprattutto di quello rurale, un visione statica, non vogliamo ingessare o imbalsamare, ma crediamo fermamente che le linee di sviluppo urbanistico ed edilizio debbano essere compatibili con i valori del nostro paesaggio rurale.
Qual è l’attuale politica di gestione del territorio?
La risposta è sotto i nostri occhi: l’attuale regolamento edilizio non tutela le aree a vocazione agricola ma sta permettendo, concessione dopo concessione, che muoia ogni rimasuglio di bellezza e speranza.
Il nostro paesaggio è la nostra identità e non può prescindere dal nostro ingente patrimonio culturale!
Ne è espressione, un unicum che necessita di essere salvaguardato dall’espansione edilizia e sottratto ad ogni forma di speculazione e consumo improvvido e privo di visione.
Cancellarlo significa cancellare un attrattore culturale di grandissima valenza, una delle ragioni per cui ci si innamora del nostro territorio.
L’identità dei luoghi, la loro anima, storia e funzione, la memoria, la conoscenza, il rispetto e la gratitudine umile verso il passato, valori che devono essere interpretati ed incarnati da noi netini del 2017, con forza e risolutezza per contrastare questo rischio.
Il paesaggio non è un bene di consumo, ma un bene culturale a carattere identitario.
Il paesaggio è parte di un territorio, ma è qualcosa di più di quel territorio: ne rappresenta la forma e la sostanza, quindi sia gli elementi fisici sia gli elementi culturali, sociali ed etici – quindi intangibili ‐che uniscono i membri della comunità che a quel territorio afferisce. Il concetto giuridico di paesaggio culturale così come elaborato dalle diverse fonti sembra non potersi slegare dall’elemento percettivo e da quello identitario: il paesaggio vive della relazione con chi lo abita perché proprio l’agire di chi lo abita caratterizza, plasma, definisce il paesaggio per ciò che è. Per riprendere le parole della raccomandazione del Consiglio d’Europa e della Convenzione Europea del Paesaggio, tra l’elemento umano e quello ambientale si instaura una relazione “di ordine affettivo, identificativo, estetico, simbolico, spirituale o economico”, tale per cui il paesaggio si pone come “manifestazione identitaria percepibile. (da Tutela Giuridica del Paesaggio rurale tradizionale. Documento prodotto nell’ambito della Rete Rurale Nazionale 2007‐2013 a cura del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali)
Il nostro paesaggio rurale costituisce un’eccezionale ricchezza, è espressione dell’identità culturale e dell’immagine del nostro paese nel Mondo, sottoposta oggi a molteplici minacce (dagli incendi ad una cementificazione insipiente e dissennata) a tutti gli effetti un bene da tutelare e valorizzare.
Passione Civile chiede con forza, in attesa del nuovo PRG e delle norme di attuazione, una moratoria di concessioni edilizie afferenti al territorio rurale e in vista dell’approvazione del piano paesaggistico, ben lungi dal voler ostacolare gli agricoltori e quanti vogliono investire utilizzando il nuovo piano di sviluppo locale ristrutturando in maniera attenta e rispettosa della nostra preziosa identità i vecchi casolari e le masserie.
Passione Civile – Noto
Carissimi amici il piano paesaggistico oggi approvato era comunque già in vigore poichè con l’adozione sono scattate le norme di salvaguardia .Il REC del Comune di Noto per le zone E è già stato modificato. La moratoria per le concessioni edilizie, che oggi si chiama Permesso di Costruire non trova alcun fondamento giuridico.
Sentenza del consiglio di Stato
La sentenza afferma ( paragrafo 2.1) che « l’urbanistica e il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo e armonico del medesimo; uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, non in astratto, ma in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia dei valori ambientali e paesaggistici, delle esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, delle esigenze economico-sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che s’intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione de futuro sulla propria stessa essenza, svolta per autorappresentazione ed autodeterminazione dalla comunità medesima». E’ esattamente il modo di vedere la pianificazione urbanistica che eddyburg sostiene e promuove.
È evidente che la sentenza non cita genericamente “tutto” ma occorre valutare la proposta che viene fatta,dagli uffici preposti applicando le norme ,nel nostro caso REC e piano paesaggistico.