E’ il titolo di un libro di Vincenza Di Vita, appena pubblicato da Mimesis, nella Collana Filosofia del Teatro, 121pagine in cui l’Autrice svolge una analisi sul femminile nel teatro di Carmelo Bene, iniziando a fare un excursus sui vari incroci dei saperi da lui frequentati e sui percorsi teatrali, quindi delle varie metamorfosi che il suo teatro compie e attraversa dai primi esordi del 1959, con il Caligola, fino alla Lectura Dantis, ultimo suo lavoro del 2001.
Quei Saperi che riguardano in particolare la filosofia, la letteratura e la spiritualità, a cominciare da filosofi come Shopenhauer, Gentile, Bruno, Nietzsche, Heidegger, Stirner, Wittgenstain, Cioran, Derrida, Foucault, Deleuze, da letterati come Dante, Wilde, Joyce, Artaud, Baudelaire, Leopardi, mentre riguardo alla spiritualità, il misticismo diviene il suo campo d’indagine, ed i mistici che ha maggiormente studiato e frequentato sono: San. Teresa da Foligno, San. Teresa D’Avila, e soprattutto San. Giuseppe Desa da Copertino, un Frate Francescano, analfabeta, su cui ha scritto: “A Boccaperta“ un libro e su cui ruota la sua dimensione spirituale, una dimensione spirituale pre – linguistica, Stoica, che è quella di andare fuori da tutte le modalità conosciute. Una rivoluzione Copernicana rispetto al teatro del suo tempo che frequenta eliminando tutto ciò che è potere , ad esempio, la Regia, il testo che fa a pezzettini, l’attore, il Re, i Principi, il potere dello stesso teatro, i generi sessuali. Quei saperi che culturalmente incrocia e si riversano in quei vasi comunicanti che sono la filosofia e la letteratura teatrale, ad esempio, quella di Antonin Artaud, che nei suoi testi parla di “ Corpo Senza Organi “ , che l’attore deve sviluppare per potere dirsi realmente attore, superando “ le passioni tristi “ , evitando così di interiorizzare quelle forme di potere colonizzante che corrispondono a Dio – Patria – Famiglia – Stato – Governo – Casa, per non prostituirsi sul palcoscenico, superandosi continuamente per divenire sempre altro da sè. infatti, Carmelo Bene, diviene C.B. , una “ Macchina attoriale ” , non un dicitore che porta “ la parola “ sulla scena , ma un “ Operatore “ , che toglie di scena, in cui il corpo si disfa di se stesso sulla scena “ disdicendo “ il verso che verticalizza dandole colore, suono, atmosfere, visioni, divenendo phonè che crea l’evento, quell’evento che si da una volta per tutte e che non può avere repliche.
In tutto il teatro e il cinema di Carmelo Bene, il femminile è simbolico e deriva dal sacro, di un sacro che fa riferimento alla filosofia degli Stoici, che è fuori da tutte le Chiese e le Religioni, che a partire dal suo primo lavoro, dal Caligola, indossava una gonna da soldato romano e dei sandali , dandosi lo smalto rosso porpora sulle unghie dei piedi, oppure nel Don Chisciotte indossava un cappello dalle sembianze femminili , che in realtà si tratta del cappello di Dioniso; nel film Nostra Signora dei Turchi, vi è l’apparizione di Santa Margherita, che fumando sfoglia una rivista femminile; in Salomè, Erodiade rimane in sella con le sue finte ali bionde d’angelo; in Pinocchio la Fata turchina è la Madonna che è una e trina nel suo essere bambina; in Macbeth è una “ lady domestica “ , “ donna ragazzo “ .
Nel film Don Giovanni, il femminile ha sembianze di donna bambina , che incarna una maternità impossibile, legata a elementi sacri; nel film “ Un Amleto in meno “ , Ofelia indossa una cuffia bianca da suora infermiera, una crocerossina per amor dell’arte ; in Otello estromette in Desdemona la donna , riammettendola solo per deficienza, in quanto mancante, assente; in un Riccardo III, dalla gobba sproporzionata, una mostruosità fisica che da l’idea di una sessualità negata, di un uomo senza femminilità, così come in Otello, con una Desmedona che gli appare anche come fantasma del femminile, di un femminile assente; in Lorenzaccio il cappello femminile indossato da C.B. rievoca elementi del vestiario della tradizione Dionisiaca.
Questi sono solo alcuni simboli del femminile, di cui scrive Vincenza Di Vita nel suo Saggio riguardo ad alcune opere di C.B., di un “ operatore “ che viveva di eccessi, che al di là delle provocazioni che faceva sia nel suo teatro che sui vari Media, aveva coniugato l’arte con la vita, vivendo come un nuovo Dandy, che pur creando opere nei vari campi dell’arte, non poteva tra l’altro che provocare citando Artaud, Nietzsche, Stirner, Baudelaire, Joyce, Cioran, De Sussurre, Derrida, Deleuze, Lacan, mettendo sempre in crisi i Critici che gli si opponevano con strumenti inadeguati, in particolare chi usava un linguaggio critico – tradizionale, burocratico e statale nel campo delle arti, sia che si trattasse di donne, che mancavano del femminile, che di uomini, che negavano il femminile, sia nel teatro che nella vita.
Roberto Bellassai