Esplora Palcoscenico Contemporaneo, in collaborazione con Kajros, un Festival di filosofia giunto alla quinta edizione, sabato 17 Marzo c.a. ha presentato al Teatro Comunale di Noto, Tina Di Lorenzo, Maryam, un lavoro teatrale, una partitura in quattro movimenti, ideazione, spazio, costumi e regia di Marco Martinelli e Ermanna Montanari del “Teatro delle Albe“ di Ravenna, tratto da un testo di Luca Doninelli.
Maryam è la madre del Gesù del Corano, una figura basilare nella cultura Islamica, simile alla Maria della religione Cattolica, è la donna dell’incontro, dei “ponti sottili“ tra Cristianesimo, Islam e Cultura contemporanea.
Ermanna Montanari, una Attrice di talento che frequenta e respira “le passioni forti“ ,vincitrice di quattro Premi UBU, del Premio “Lo Straniero“ 2006, dedicato “alla memoria di Carmelo Bene“ e del Premio Eleonora Duse, dietro un sottile velo dà corpo, voce e profondità alle parole di tre donne Palestinesi, a Zeinab, a Intisar, a Douha che rivolgono le loro preghiere, il loro dolore, chiedono consolazione, vendetta, cercano e vogliono una risposta al perché della guerra, delle violenze e delle ingiustizie.
Maryam, che è sempre Ermanna Montanari, in uno scenario contemporaneo in cui il conflitto Israeliano – Palestinese continua a mietere vittime a causa di un terrorismo d’andata che sollecita il terrorismo di ritorno, condivide il dolore di quelle donne, di quelle madri, che come lei, hanno perso i figli morti di una morte violenta che ne ha segnate profondamente la vita.
Zeinab racconta la storia della sua amica Sharifa che è stata rapita e violentata da un suo parente che poi l’ha venduta per cui oltre ad invocare Maryam chiede e urla vendetta.
Intisar parla della scomparsa di suo fratello Fouad che voleva fare l’ingegnere ed invece è diventato un Kamikaze che si è fatto saltare in aria nella Piazza della sua Città, uccidendo Ebrei, Musulmani e Cristiani.
Douha pregando parla di Alì, del suo amatissimo figlio di 12 anni, annegato nel Mare Mediterraneo per seguire il proprio padre che fugge per disperazione dal suo Paese e dalla sua famiglia perché i terroristi lo vogliono uccidere.
Tra una preghiera, un racconto e l’altro, ci sono momenti in cui entra prepotentemente in scena uno spaccato reale di guerra di una Città Siriana bombardata e ridotta in macerie.
Un linguaggio che si sovrappone e rompe con quello delle parole e delle preghiere di Maryam, evidenziando la violenza e il terrore della guerra voluta dagli Stati ricchi contro gli Stati poveri per motivi di primato economico – religioso.
Maryam appare vestita da madonna con l’aureola di lampadine accese, mostrando le mani nude, racconta del suo dolore nell’avere assistito alla morte del figlio crocifisso, nonostante le suppliche fatte a Dio perché lo salvasse ,ma Dio non risponde lasciandola in un dolore che si trasforma in conflitto nei confronti di un Dio che lei non perdonerà mai.
E ancora, rivolgendosi alle tre donne Palestinesi, dice: “cosa posso darvi? I miei baci, le mie carezze. E’ tutto quando possiedo. Per sempre voi sarete con me, nel cuore del mondo, là dove nessun figlio muore“.
Questa è, più o meno, la trama di Maryam che non è una messa in scena ma si potrebbe dire una messa in vita da parte di Ermanna Montanari e il Teatro delle Albe, di un’Attrice che pregando si sottrae, che vive per sottrazione, libera dalla soggettività e dalla singolarità, con una coscienza senza io, direbbe Deleuze.
Un lavoro teatrale con una singolare composizione di immagini, create dalla Regia di Marco Martinelli, immagini che insieme alle musiche fanno fuori i filtri, i veli e le scritture in arabo, in cui le preghiere, le parole, le invettive e i suoni si fondano in atmosfere che creano delle “immagini cristallo“ (Deleuze), sollecitando nello spettatore quello stupore che porta fuori dalle modalità conosciute.
Dice bene Giovanna Caggegi, che, di recente, ha scritto sul quotidiano La Sicilia che Ermanna Montanari è l’erede spirituale di Antonin Artaud e di Carmelo Bene, la cui dimensione teatrale è fatta di eventi, in cui è prevalente l’universalità dei temi messi in vita, mentre, secondo lo scrivente, sia Antonin Artaud che Carmelo Bene presentano delle varianti nel loro teatro rispetto al teatro della Montanari, quindi del Teatro delle Albe.
Antonin Artaud, col teatro della crudeltà, in cui il linguaggio si fonda sul corpo dell’Attore per realizzare la totale libertà dello spirito quel “corpo senza organi“ , che permette di “attraversare da parte a parte esistenza e carne”, mentre Carmelo Bene, frequentando “il teatro impossibile“, come lui stesso lo definisce, eliminò dal teatro la regia, il testo e l’immagine, disdicendo e balbettando le parole, rompendo con i nessi logici, scalzando il significato dal significante, trasformandoli in suoni, in colori, in quel “linguaggio universale“ che apre l’orecchio dell’orecchio dello spettatore, sollecitandone lo “stato creativo“
Sia Artaud che Carmelo Bene sono dei ricercatori puri, di cui il teatro Occidentale, non può fare a meno, dei ricercatori puri, unici, dalla dimensione Immanente e Dionisiaca.
Roberto Bellassai