Il Pd è deciso: il governo Crocetta può andare in soffitta. Ma il governatore non molla. E pensa a una nuova maggioranza: via i 17 democratici, dentro Udc, Drs, Megafono (con la spada di Damocle dell’espulsione dal partito di via Bentivegna degli iscritti che militino nel gruppo del presidente), Articolo 4, ma soprattutto i 7 “lombardiani” del Pds-Mpa. Più qualche altro deputato “spurio” preso qua e là nelle fila del gruppo misto o in uscita dai partiti dell’opposizione. In tre parole: addio modello Sicilia. Col rischio, evidente, che i numeri in aula manchino comunque al presidente.
Lo strappo fra il Pd e il presidente della Regione si è consumato ieri sera, dopo settimane di confronto-scontro sui temi del rimpasto. O rafforzamento della giunta, come ieri ripetutamente il segretario Giuseppe Lupo ha definito il dibattito animato dal suo partito e indirizzato al governatore. Che però, dopo aver dato più volte segnali di voler allargare la sua giunta, ha tirato i remi in barca e respinto le richieste del Pd con accuse velenose.
Come già nella riunione del gruppo parlamentare all’Ars, in direzione regionale il Pd ha elencato i motivi del suo dissenso e le priorità che il governo avrebbe dovuto affrontare: l’agenda in buona sostanza. Ma soprattutto, nelle parole del segretario e in quelle dell’ex capogruppo Antonello Cracolici ha espresso un giudizio politico netto nei confronti del metodo Crocetta: “Caro Beppe – ha detto Cracolici rivolto al senatore Lumia con cui si è avvicendato sul palco degli interventi – così non si può andare avanti. Non credo che il problema sia il Pd che si assume la responsabilità di scaricare il suo presidente. E’ il presidente che si è assunto la responsabilità di denigrare il suo partito”.
In ogni caso il ruolo del Pd in aula sarà quello di una forza, la più numerosa, che vaglierà provvedimento per provvedimento i disegni di legge del governo a cui è stato contestato un vizio di comunicazione che ha portato fin troppo spesso gli alleati a subire proposte di legge non concordate e in alcuni casi, come per il provvedimento sull’acqua pubblica o sull’aumento dell’Irpef, in totale contrapposizione rispetto agli interessi del partito.
Resta ora la grana degli assessori: secondo il documento approvato ieri sera, con 56 voti favorevoli e 7 contrari, i componenti della giunta che fanno riferimento al Pd devono dimettersi. Se restano non rappresentano comunque la delegazione democratica all’Ars. Improbabile che Nelli Scilabra si dimetta, almeno se il presidente Crocetta intende – come appare – continuare nel muro contro muro col Pd; Mariella Lo Bello che si è dichiarata “donna del Pd ” ha poi attaccato pesantemente la relazione del segretario Lupo; ma l’assessore con delega al territorio ha addosso un marchio pesante, la provenienza dall’ambiente Crisafulli-Capodicasa che sono fra i più convinti assertori della linea anti-Crocetta; Luca Bianchi, l’assessore venuto da Roma blindato dai vertici nazionali del partito. Ma sulle “coperture” nazionali, ovvero sull’interesse reale della segreteria nazionale sul caso siciliano, c’è un bel po’ da discutere. Infine Nino Bartolotta, la sua sembra l’uscita di scena più probabile visto lo scollamento fra la corrente che rappresenta all’interno del Pd, Innovazioni, e lo scontro frontale che ha opposto Crocetta ai deputati di riferimento dell’assessore ai Trasporti, ovvero Francantonio Genovese e Franco Rinaldi.